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La conoscenza è la sorgente della comprensione.

È questa la ragione ultima per cui organizzo i miei viaggi, in Europa e oltre.

Partire con un cuore curioso, proprio come il Zaccheo del racconto lucano, per vedere passare Gesù. E trovarne le tracce nelle vicende umane, spesse contorte e inspiegabili. Leggere nelle pieghe della Storia le orme di quegli uomini e quelle donne che, nutriti alla luce della fede, hanno costruito ponti.

 

A volte basta fare un piccolo spostamento.

L’Ungheria, ad esempio. Sappiamo che faceva parte dell’URSS, che fa parte dell’Europa ma non della moneta unica, che difende i propri confini contro l’ondata migratoria… Ma poco più.

Vedere, ascoltare, conoscere la storia del popolo magiaro, invece, aiuta a capire il presente.

Un popolo fiero, con una lingua propria, incomprensibile a tutti, unica nel suo genere. E proprio questa unicità ha convinto le sette tribù magiare, combattenti valorosi e temuti, un millennio fa, a stabilirsi, a posare le armi, ad adottare il Vangelo come nuova fede e strumento di socializzazione.

Artefice di questa illuminata soluzione fu re Stefano, santo ed eroe nazionale, l’inventore dell’Ungheria. Poi le vicende medievali, i mongoli e il secolo e mezzo di dominazione turca. È del tutto evidente che sia quella dura dominazione all’origine dell’attuale diffidenza congenita verso il mondo islamico. Dopo i turchi gli austriaci, che hanno sempre considerato gli ungheresi un popolo subalterno, al punto da condizionarne addirittura le scelte architettoniche affinché Budapest, città strepitosa, non offuscasse Vienna.

Il tragico epilogo della folle prima guerra mondiale vide l’Ungheria depredata dai vincitori: un terzo del territorio magiaro venne ceduto ad altre nazioni. Lo scoppio della seconda guerra mondiale li vide appoggiare il nazismo, con la promessa di riavere i territori perduti.

Non fu così e dopo la guerra arrivarono i sovietici e il socialismo reale.

Fino all’altro ieri, quando, fra i primi, gli ungheresi riuscirono a liberarsi dal giogo russo, dopo la tragica rivoluzione fallita del ’56 e finalmente compiuta nell’89.

 

Oggi Budapest si presenta come la Parigi dell’est, con i suoi viali ottocenteschi le sue architetture neoclassiche e secessioniste. Bella, europea, vivace, emana il fascino delle grandi città attraversate dal fiume, sua maestà il Danubio, in questo caso.

 

Un dettaglio, fra i tanti, mi ha colpito.

In questa poderosa opera di restauro e di rilancio della città, qualche anno fa è stato inaugurato un monumento ai caduti della Shoà. Un monumento considerato troppo freddo e poco significativo che, addirittura, venne utilizzato dai neo-nazisti, come luogo di ritrovo.

Da allora gli abitanti di Budapest hanno pensato bene di riprendersi il monumento.

Pietre per ricordare gli ebrei morti, foto, nomi di famiglie deportate, ma anche invettive contro il governo e le sue scelte politiche.

 

All’inizio la polizia toglieva tutto, da buoni mittle-europei amanti dell’ordine.

Poi hanno capito e hanno rinunciato.

Così, nell’ordine maniacale della città, spicca questo monumento disordinato e vivo, giornalmente cangiante, che bene rivela l’ostinazione e la particolarità di questo popolo.

Ricchezza per l’Europa.

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