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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!». Mt 7,7-12

Gesù ha appena consegnato ai discepoli la preghiera del Padre Nostro e ancora insiste sulla particolarità della preghiera cristiana: è a un padre buono che ci rivolgiamo, uno che conosce ciò di cui abbiamo bisogno. Perciò quando chiediamo con insistenza e non otteniamo, non è perché Dio è distratto, o si occupa d’altro o, come un politico, ha bisogno di essere adulato per essere ascoltato. Il nostro Dio sa bene di cosa abbiamo bisogno, come un padre conosce qual è il bene del figlio che sta crescendo. Siamo noi, suoi figli, che spesso dimentichiamo di essere in crescita, di avere bisogno di tempo e di pazienza, di non essere ancora arrivati, anzi, di non essere ancora partiti! La preghiera, allora, non serve a convincere Dio, ma a capire se ciò che chiediamo è davvero quello di cui abbiamo bisogno. Come il bambino che tiene il broncio se i genitori non ascoltano la sua richiesta per ottenere l’ennesima merendina, così anche Dio sa cosa concedere ai suoi figli e cosa no. Chiediamo, allora, e con insistenza: per noi, per gli altri, per il mondo, sapendo di chiedere aiuto ad un padre, non a un capriccioso despota che decide chi esaudire e chi no. Mt 5,20-26

Gesù, nel discorso della montagna, riporta la Legge alla sua origine. Non è un anarchico, non è venuto, lo dice con forza, per cambiare una sola virgola della Legge. Ma contesta, e duramente la Legge orale, quell’infinita serie di minuziose e astruse prescrizioni che i devoti avevano elaborato per definire in ogni aspetto la vita del credente, facendolo impazzire e, ancora peggio, facendolo credere un giusto davanti a Dio. Così Gesù prende molti aspetti della Legge orale e li riporta al loro significato originale, alla loro anima. Il culto è legato alla vita, Dio non accetta l’offerta se tuo fratello ce l’ha con te (non è neppure considerato il fatto che tu ce l’abbia col fratello!), Dio sa che anche una parola può mortificare, portare a morte il fratello. Gesù propone ai suoi discepoli di non pesare col bilancino la proprie azioni, ma di andare all’essenziale, con forza. Allora come oggi, il rischio è quello di filtrate il moscerino e di ingoiare il cammello! Se abbiamo conosciuto il Signore, chiediamogli la grazia di non essere ipocriti, di non sentirci mai arrivati, giusti davanti a lui. Solo riportando all’origine ogni norma, anche quelle della Chiesa, riusciamo a capire la verità del Vangelo.

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