Anch’io, come tutti, sono rimasto molto impressionato dal naufragio della Costa Concordia. Non capita tutti i giorni che un gigante del mare abbia un incidente di quel tipo e, mentre scrivo, la lista dei dispersi sfiora le trenta persone. Intanto le responsabilità gravissime del comandante stanno gettando una luce sinistra su tutta la vicenda. Provo grande dolore per le persone morte così stupidamente, e dolore per i tanti amici di Genova che hanno a che fare con la Costa e che mi scrivono di avere paura di perdere il lavoro. In questi giorni, però, ho faticato a distillare le emozioni e sono stato di malumore perenne.
Anche mio figlio è stato molto colpito dal vedere la grande nave adagiata di fronte al Giglio, l’isola che ammiriamo quando siamo in spiaggia, all’inizio dell’estate, ogni anno. Mi ha anche edotto sul fatto che una portaerei non sarebbe affondata anche perché non ha tutta quella gente a bordo (cosa vera!).
Stamani mi sono preso due ore per salire a Pila e rientrare per pranzo: sto preparando diverse conferenze e intanto ho messo mano ad un nuovo libro. Due ore per sciare e scaricare tutta la tensione accumulata e cacciare i brutti pensieri. Mentre sto per salire sulla cabinovia che da Aosta sale sulle piste mi accoglie una pubblicità in bella evidenza: Prenditi una vacanza, con 20 gradi in più. Costa Crociere. D’accordo, ci devo proprio fare i conti, approfitto delle seggiovie prese in solitudine. Cerco di mettere a fuoco il disagio.
La prima cosa che non riesco a mandar giù e che mi fa riflettere è la testimonianza di molte persone su cosa è successo durante l’evacuazione. Ovvio: nessuno è preparato ad un evento del genere e non sappiamo come reagiremmo davanti a una tale catastrofe. Urla, panico, disorganizzazione ci stanno. Quello che proprio non ci sta, ed è stato testimoniato da molti del personale addestrato all’evacuazione (che pare si sia comportato al meglio, vista la situazione) è il fatto che molte persone, durante i momenti concitati hanno avuto il tempo di filmare e di fare qualche foto. Sì, avete letto bene: hanno fatto i reporter, non si sa mai di fare lo scoop. E non nei momenti di relativa calma, ma mettendo in difficoltà chi stava lavorando. Per non parlare (testimonianza autentica!) di chi ha preso a spintoni il personale per “rubare” un posto in scialuppa. Alla faccia… Non so definire questa cosa e non so come mi comporterei, ovviamente. Mi dà solo la pessima impressione di una società che piomba nel caos, di una orribile metafora della realtà che viviamo fuori dalle crociere…
La seconda cosa è l’atteggiamento del comandante. Se anche solo la metà delle cose emerse sono vere si configura questa situazione: il comandante per fare l’inchino all’isola, ignora bellamente le indicazioni di rotta, si avvicina troppo alla costa e si scontra contro uno scoglio. Grave, ma può succedere. A questo punto avrebbe dovuto dare l’allarme. Nulla: nega l’evidenza, minimizza con la Guardia Costiera, aspetta troppo a dare l’allarme, scende dalla nave prima del dovuto, nega la catastrofe e le proprie palesi responsabilità… Due considerazioni: è possibile che l’incolumità di 4200 persone sia affidata ad una sola persona? Su un aereo sono sempre in due, e su una nave? Ma la seconda considerazione è quella che mi mette più in crisi: perché non ha ammesso subito lo sbaglio? Perché ha avuto paura delle conseguenze creandone di peggiori? Perché ha fatto così fatica a fermarsi, cosa doveva difendere? Si è comportato come un bambino che, per nascondere la marachella, finisce col bruciare il condominio. Un pavido, un irresponsabile che ancora non ammette le sue colpe.
Capitemi: il danno è enorme (in vite, in soldi, in immagine) ma quello che mi inquieta, come direbbe Giorgio Gaber, non è il pavido in sè, ma il pavido in me. Quando impareremo a diventare uomini? Chi ce lo sta insegnando?
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