La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Siamo giustamente attenti a considerare lo Spirito Santo così come ce lo testimonia Gesù nei tanti annunci fatti durante la sua vita e come ce lo testimonia la splendida pagina degli atti. Il dono dello Spirito è un evento legato al risorto: secondo Giovanni l’effusione avviene molte volte, dalla croce, anzitutto, e poi alla sera di Pasqua, non solo durante la festa di Pentecoste.
L’apparizione del risorto nel giorno di Pasqua ci invita a riflettere sul perdono, categoria disattesa dal nostro mondo che lo considera una vera debolezza.
È difficile il perdono, impegnativo, arduo. Non perdoniamo perché siamo migliori, né perché l’altro si converta dopo avere ottenuto il nostro perdono. A volte chi ci ha ferito e perdoniamo non sa nemmeno di essere stato perdonato!
Perdoniamo perché abbiamo bisogno di perdonare, perché noi stessi possiamo rinascere.
Non aspettate il perdono perfetto per perdonare, applicate il perdono possibile, quello che riuscite a dare. Il meglio è nemico del bene, spesso. Perdonate meglio che riuscite.
A volte non augurare la morte è già un grosso passo.
Meglio sarebbe augurare la conversione e il cambiamento, sperare e pregare per il pentimento di chi vi ha ferito, e questo non per una ripicca o una sottile vendetta egoistica, ma per la gioia di poter guardare al futuro.
Perdonare è un gesto della volontà, non un sentimento. È una scelta coraggiosa. Perdoniamo per ricominciare. Perdoniamo, se siamo discepoli, per imitare il Padre. Ma il perdono non è nemmeno un’amnesia: non cancella il ricordo, lo addolcisce.
Ti perdono perché ne ho bisogno per ricominciare.
Ti perdono perché voglio abbandonare il mio dolore interiore.
A volte sono proprio io il destinatario del perdono: è a me stesso che devo perdonare. Accogliere i propri sbagli può spalancare il nostro cuore all’umiltà e all’autenticità.
Ho avuto la gioia immensa di accompagnare molte persone dal dolore della memoria al perdono.Quando ciò mi era permesso, ho avuto l’immensa gioia di donare il perdono nel nome di Dio. È un cammino che dura tutta la vita eppure, compiuto il primo passo, ha permesso a molte persone di ricostruirsi, di riscoprirsi, di vedere il mondo in maniera completamente nuova.
Questo dono è affidato alla Chiesa, comunità di perdonati, non di perfetti: è la comunità dei discepoli che offre il perdono, la riconciliazione.
Anzitutto vivendo in un clima di conversione e di richiesta di perdono (quante volte chiediamo perdono senza pensare a ciò che diciamo durante l’eucarestia!), nella preghiera personale (il Padre Nostro che lega il nostro perdono alla capacità di perdonare), nei sacramenti che danno il perdono (battesimo e unzione degli infermi) e anche nel sacramento della riconciliazione che, storicamente, ha assunto molte forme e oggi ha quella del colloquio con un sacerdote con l’assoluzione personale.
Lo Spirito ci rende consapevoli del grande dono che riceviamo col perdono da ricevere e da donare.
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