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Arcabas_EmmausIl treno attraversa la pianura canavesana senza troppa fretta. La freccia del Nord copre la distanza di cento chilometri, da Aosta a Torino, in due ore e dieci: una buona media da motorino. I treni regionali fanno pietà: sporchi, scassati, e anche i controllori, depressi, condividono con i pendolari stressati la loro frustrazione. Mentre aspetto il mio treno nella scintillante nuova stazione sotterranea di Porta Susa arriva il Freccia Rossa per Milano: fa l’effetto di un’astronave aliena che è capitata per sbaglio sulla terra. Oggi lectio brevis, rientro prima del previsto e ne approfitto per scaricare la posta e scrivere una riflessione. Come vi dicevo ho ripreso gli studi (sono a metà novembre e sono già scoppiato, più per la levataccia e il viaggio per le lezioni, a dire il vero). Ultimo anno di Licenza in Teologia Pastorale, una specie di master teologico di buon livello, una trentina di studenti di diverse nazioni, tutti teologi, quasi tutti preti o religiosi, quattro corsi a semestre, tutti tosti, che mi permettono di stare al passo con i tempi, tanto più ora che perdo terreno sulla concretezza delle relazioni, che sempre più sento la solitudine nel non potere confrontarmi sulle cose di Dio nella quotidianità di una parrocchia.

Leggo e rileggo i dati che ci ha fornito don Luca (ciao Luca!) nel suo corso di Pastorale parrocchiale. È la sintesi di un indagine sociologica molto seria, fatta dieci anni fa (un po’ datata ma i tempi sono questi) sul comportamento religioso degli italiani. La ricerca conferma alcune sensazioni e ne smentisce altre. La prima, interessante riflessione è a partire dai risultati su cosa fa o dovrebbe fare la Chiesa, ciò che la gente si aspetta dalla Chiesa come organizzazione: da una parte si sottolinea l’urgenza di avere dei riferimenti morali, dall’altra si lascia alla singola coscienza l’agire sui casi concreti. Si potrebbe dire che le persone si sono appropriate della vita di fede, non delegandola ad altri. Certo, ci sono numerose contraddizioni nelle risposte, la Chiesa viene percepita come una forte agenzia educativa, una sorgente di riflessione morale ma, dall’altra, non deve interferire, ad esempio, con le scelte affettive.

Una specie di religione “fai da te”, e questo lo vedo e lo capisco.

Ma la cosa che mi sorprende in positivo è una serie di dati riguardanti la fede in Dio e la frequenza alla messa. L’88% degli italiani dichiara di credere in Dio (erano l’84% nel 1981), il 62% negli angeli, il 61% nella vita dopo la morte (solo il 47% nel 1981), Per quanto riguarda la messa, solo il 14% dichiara di non andare mai a Messa (il 21% nel 1981) e ben il 43% almeno una paio di volte al mese. La presunta morte della religione e del cristianesimo, in particolare, profetizzato negli anni ’60, quindi, non è avvenuta, anzi, le persone, almeno in Italia, sentono ancora un fortissimo legame con la fede cattolica e con la parrocchia e sono in crescita coloro che ancora vedono nelle nostre traballanti parrocchie una porta d’accesso al Mistero. Un’altra considerazione mi preme: 20 milioni di adulti (20 milioni!), quasi il doppio del pubblico che vede la serata finale di Sanremo, quaranta volte tanto i tifosi che vanno a vedere la partita di calcio della propria squadra del cuore, partecipano ad una nostra Messa una o più volte al mese. Non vale la pena di investire tantissimo nelle nostre celebrazioni, di renderle accoglienti, evangelizzanti, gioiose, significative?

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