Già: il cristianesimo non è come appare.
Nato come bruciante esperienza di fede, come percorso per incontrare Dio, spesso lo vediamo ridotto, col passare dei secoli, a stanca ripetizione di un sentimento religioso strutturato e monotono.
È come se un’esperienza geniale, entusiasmante, focosa, si fosse trasformata inevitabilmente in fiacca religiosità.
Forse è il problema di ogni esperienza religiosa, problema che Gesù stesso ha dovuto affrontare.
Al suo tempo, come ci è ampiamente documentato dai Vangeli, l’intuizione primigenia, l’afflato spirituale dell’ebraismo primitivo, era soffocata da un ritualismo esasperato o sostituito da un’abitudine superstiziosa e anche coloro che cercavano di contrastare il lassismo diffuso, penso ad esempio ai virtuosi farisei, cadevano nella trappola di una religiosità esteriore e bigotta.
Ho la sensazione che questo sia il destino/rischio di ogni esperienza religiosa.
Credo che anche il cristianesimo abbia percorso lo stesso cammino tortuoso, alternando momenti di autentica spiritualità e di realizzazione del Regno, a momenti di contraddizione e di stanchezza, negando addirittura coi fatti la predicazione di Gesù.
Un amico musulmano, molto legato all’esperienza mistica (minoritaria) dell’Islam, mi parla sconsolato dello stesso percorso nella diffusione della religione di Maometto.
D’altronde, senza contrapporre creatività a struttura, spirito ad organizzazione, slancio ad abitudine, improvvisazione a ritualità, quest’esperienza d’inaridimento dello spirito originario, la sperimentiamo anche nel cammino dell’uomo, ad esempio nell’amore di coppia.
Altro è essere innamorati, altro vivere tutta la vita insieme.
Molti percepiscono come una cocente delusione la fedeltà quotidiana, la vita di coppia stabile, come se la fatica dell’abitudine finisse col cancellare lo slancio emotivo.
Io credo, invece, che l’abitudine possa essere il modo concreto di manifestare l’amore, così come la ritualità è parte necessaria ed integrante di ogni esperienza religiosa.
L’uomo è fatto di gesti, ha bisogno di segni, e una religiosità che non esprime il sentimento anche con una struttura, un’organizzazione, un ritmo di vita, è una religiosità destinata a perdersi, una volta svaniti i fumi dell’emozione.
Peculiarità del cristianesimo, che crede in un Dio che entra nella storia e la salva, è proprio il suo legame a doppio filo con la cultura e la società. Il cristianesimo non è una cultura, ma entra in una cultura, ne assume i linguaggi e gli orizzonti, per poi superarli e trasfigurarli. Il rischio di identificare un momento storico con l’esperienza compiuta del cristianesimo, è da sempre e per sempre presente nella Chiesa.
La fede ci dice, invece, che siamo chiamati a realizzare il Regno presente in mezzo a noi, sapendo che la Chiesa appartiene al Regno ma non lo esaurisce. Questa tensione tra il “già” e “non ancora”, è ciò che permette al cristianesimo di vivere nel mondo senza volerlo fagocitare e senza esserne travolto.
Ecco, io credo che ci siamo incastrati in questo immenso casino.
Esiste il cristianesimo, eccome, è ben strutturato e organizzato, ma senza discepoli di Gesù, la struttura muore.
Siamo tutti, più o meno, cristiani, come diceva il buon vecchio Gentile, ma ciò non significa necessariamente credere in Dio!
Quante altre esperienze religiose sono nate e morte, nel corso della storia!
Affinché il cristianesimo continui ad essere un cammino verso Dio, occorre trovare dei percorsi di discepolato in mezzo alle nostre abitudini.
Quando leggo qualche articolo in merito ad una qualunque delle periodiche polemiche nei confronti del cattolicesimo italiano, ho l’impressione che tutti pensino alla Chiesa italiana come ad un monolite compatto di pecoroni fedeli al Magistero dei Vescovi, imbottiti di padrepii e radiomarie, che intralcia il progresso di un luminoso e sparuto gruppo di illuminati riformatori, ultimo baluardo del pensiero libero.
In realtà, ciò che io vedo, è che la stragrande maggioranza degli italiani ha un’appartenenza superficiale e parziale ad alcune intuizioni del cristianesimo, e che un piccolo, sparuto gruppo di discepoli, cerca di tenere in piedi la baracca senza prendersi l’esaurimento nervoso.
Se l’Italia è così imbevuta di cattolicesimo, spiegami dove si nascondono questi cristiani!
In politica, in economia, nel mondo del divertimento, hai forse l’impressione di un qualunque riferimento al Vangelo?
Tiro le fila, allora.
Non voglio abolire le parrocchie, né dire che il cristianesimo che stiamo vivendo sia fasullo, non voglio fare del cristianesimo una religione elitaria, riservata a pochi eletti, né ritengo la struttura, la ritualità e la morale come ingombranti ed inutili pesi da eliminare.
Dico solo che se le nostre Parrocchie non ritornano ad essere luoghi per incontrare Dio, non vivranno a lungo.
Se le nostre Messe non torneranno ad essere luoghi poveri e splendidi dell’incontro con Dio, finiranno con lo svuotarsi.
Se il nostro linguaggio cattolico non abbandonerà termini teologici ridondanti e incomprensibili, e non faticheremo a dire in modo nuovo il Vangelo di sempre, la Parola resterà chiusa nelle sacrestie.
Se non avremo il coraggio di evitare i compromessi con la società, abbandonando presunte posizioni acquisite nel passato (siamo un paese “cattolico”? Cioè?), per tornare liberi ad annunciare il Vangelo, parlando con franchezza al cuore di ogni uomo, senza tatticismi politici, il cristianesimo sarà visto come un retaggio culturale da svecchiare o sopportare o superare o combattere.
Insomma, io ho bisogno di avere un cristianesimo che chiaramente, semplicemente, amorevolmente, mi parli del Vangelo!
Il resto viene dopo, è bene, è bello, è giusto.
Ma è dopo.
Dopo la cultura, l’arte, la storia, l’economia, la politica, l’impegno sociale eccetera.
Essenziali, cartina al tornasole per verificare la verità della vita di fede (non è concepibile un cristianesimo solo teorico o solo spirituale che non cambi la città degli uomini), questi aspetti sono però consequenziali all’incontro col Dio di Gesù. Rifletto sull’etica, sulla politica, sull’economia, m’impegno a cambiare la logica mondana perversa e ingiusta, perché Dio mi ha riempito il cuore.
Sono un figlio del mio tempo, dubbioso ed irrequieto per grazia.
Non ho mai visto le chiese stracolme, mi sono avvicinato alla fede quando già era palese ed evidente la crisi del cattolicesimo di massa. Provengo da un contesto famigliare affaticato, sono stato cresciuto (e di questo ringrazio mio fratello) nutrito da uno struggente e rispettoso senso critico verso ogni fede, verso ogni dogma.
Poi, in qualche modo, Dio mi ha incontrato.
Nella vita vorrei diventare almeno un po’ più uomo, poi, se possibile, più discepolo di quando, trent’anni fa, ho scoperto con stupore il volto radioso del Dio di Gesù.
8 Comments