Questa è la cronaca di un pellegrinaggio.
Anzi, di una fuga. Come nei film, solo che vera. E densa di emozioni e, a saperle accogliere e leggere, di provocazioni.
Dobbiamo partire per il mio consueto pellegrinaggio in Terrasanta, questa volta Gerusalemme, Giordania e Neghev. Programma spettacolare. 47 pellegrini in attesa. Quasi tutti. Molti mi scrivono per la paura del coronavirus. Sarà sicuro? Rispondo scherzando: andiamo negli unici paesi non colpiti, quindi siamo noi gli untori. Solo in seguito scoprirò quanto avevo ragione…
Alcuni però cedono alla paura e non partono. Pochi, però.
Volo e arrivo senza problemi, al mattino siamo pronti per vedere Gerusalemme sfidando una gelida e inusuale pioggia. Pellegrini stoici, visitiamo gli scavi del tempio, poi alcune cose di Gerusalemme. Pomeriggio, finalmente, si va verso il deserto, tramonto a Wadi Kelt, stupore. Salendo sul bus, direzione Gerico, prima bordata.
La Giordania chiude le frontiere a noi italiani. No, non è uno scherzo. Io e Paolo, la guida che con me accompagna il gruppo, gestiamo la situazione. In due ore, a Gerico, ripensiamo totalmente il viaggio. I pellegrini, grandi, ci assecondano, pazienza per la Giordania, chi poteva prevederlo.
Giorno due Gerusalemme col museo del libro e Mar Morto, poi l’esperienza grandiosa con Abuna Mario, parroco di Gerico. Qualcuno fa notare che riusciamo a celebrare le Ceneri, mentre in Italia no. Morale molto alto.
Arriviamo in albergo per cena e io e Paolo dobbiamo gestire il secondo step di questo delirio: la Palestina ci mette in quarantena in quanto italiani. Parliamo col direttore dell’albergo, si muovono le nostra agenzie, otteniamo di partire l’indomani, presto. Una vera fuga. Arriviamo a Masada, magnifica, ma ennesimo cambiamento di programma: non si prosegue per il Sud, l’unico albergo a Beer Shevà era quello dei coreani infettati.
Sulla funivia quando ci sentono parlare italiano si coprono naso e bocca con le magliette. La voce si sparge, cavolo. Allora siamo davvero appestati.
Si rientra su Nazareth, step numero tre. Da domenica primo marzo Israele metterà in quarantena tutti gli italiani presenti. Lo dico al gruppo, gelo. Si rientra quanto prima, venerdì perché El Al, la nostra compagnia, non vola il sabato. Il bus, fa inversione di rotta, torna sui suoi passi, di nuovo Gerusalemme. Hanno spostato l’intero gruppo al venerdì al primo volo, alle 6 del mattino. Medito con i pellegrini, ormai è una fuga. Esperienza grandiosa, a saperla leggere: stavolta siamo noi i diversi.
Ci ospitano i francescani di Casa Nova, nessun albergo o ristorante prende gli italiani. Sia, domani partiamo. Mentre il gruppo è al Santo Sepolcro e io organizzo la partenza ennesimo cambio di programma: El Al annulla tutti i voli da e per l’Italia. Così Easy jet. Ok, adesso sono preoccupato.
Dall’Italia l’ODPT e Piero da due notti insonni fanno i miracoli.
Dopo cena riunione. Pellegrini, visibilmente provati, accettano la proposta. Tre gruppo divisi, tutti con Alitalia, uno venerdì alle 6, l’altro alle 17,30, l’ultimo sabato alle 6.
Primo gruppo partito e arrivato, zero problemi. In mattinata la nostra corrispondente a Gerusalemme ci dice che non è prudente uscire. Stanno già mettendo in quarantena i gruppi italiani. Andiamo in giro in silenzio o, scherzosamente, parlando in dialetto. Gruppo due rientrato.
Il gruppo tre al cardiopalma: prende l’ultimo volo prima che Alitalia annulli gli altri voli.
Ecco, questa la cronaca decurtata dalle fibrillazioni, ansie, colpi di scena e paure. Come accade in quei film d’azione in cui gli eroi fanno slalom fra i massi incandescenti dell’eruzione.
Ma per me, per i pellegrini, il più grande pellegrinaggio mai fatto. Niente di quanto avevamo previsto è andato come avrebbe dovuto. E abbiamo cambiato il programma ogni sei ore, adattandoci e senza lamentarci. E ho visto quanti i “miei” pellegrini siano cresciuti, mantenendo la calma, sostenendosi, imparando a sorridere e a vedere il lato buono.
L’ultimo giorno, a sant’Anna, ho detto loro: ecco, vedete? Non possiamo decidere nulla, siamo in balia degli umori, siamo noi gli appestati anche se sani come pesci. E abbiamo un passaporto europeo e dormiamo negli alberghi, non siamo clandestini in un carcere libico. Ora sappiamo cosa significa essere lo straniero.
Grande inizio di quaresima.
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