Sono stati due giorni molto intensi, di volti, di Parola spezzata, di accoglienza. Ho chiesto di visitare l’abbazia prima di prendere il treno per Napoli. Solo salendo il monte mi accorgo di quanto sangue abbia impregnato questa terra benedetta. Dedico la mattina a pregare nei cimiteri militari che attorniano la città di Cassino. Arrivo in stazione esausto e pensieroso.
Una signora dell’est mi fa vedere il biglietto perché le indichi il binario di partenza. Vedo che non è obliterato. A gesti cerco di spiegarle, la accompagno alla macchinetta e poi al binario. Anche lei parte per Napoli.
La freccia del Sud impiega due ore per coprire poco più di cento chilometri ma non ho fretta. Solo che accumuliamo mezz’ora di ritardo e so che Gaspare mi aspetta nei pressi della stazione.
Mi spazientisco e quando il treno si ferma in stazione poso lo zainetto per aprire le porte e mi incammino di fretta. Percorro forse cento metri sulla banchina, mi blocco. Lo zaino!
Troppo tardi, sparito.
Percorro inutilmente tutti i vagoni, niente.
La faccia dei poliziotti di guardia cui chiedo se qualcuno ha portato uno zaino esprime compatimento per questo ingenuo valdostano.
Salgo sull’auto di Gaspare scosso. Gli spiego.
“Avevi cose importanti?”, chiede.
Direi: portatile, due paia di occhiali graduati, le medicine per la vista, cavi e cavetti, agenda con tutti gli impegni. Un delirio. Mentre Gaspare si destreggia fra il caos del traffico blocco telefonicamente le carte di credito.
C’è una flebile speranza, dice l’amico partenopeo. Chi ha preso lo zaino vedendo che il computer è criptato e gli occhiali inutilizzabili potrebbe cercarmi per proporre uno scambio oneroso. “Cavallo di ritorno” si dice da queste parti.
Mentalmente gestisco le emozioni, ovviamente negative, fra un’ora devo parlare. Arriviamo in parrocchia e saluto l’amico don Pasquale. Squilla il cellulare, sto per riattaccare ma rispondo.
Una voce di donna: “Era sul treno?”
Si, rispondo, mi dice che ha lo zaino, ci vediamo in stazione domattina. Cade la linea. Numero di cellulare visibile, buon segno, dice Gaspare.
Bene. Penso positivo. Penso bene. Attivo la modalità entranelfiumed’amorecheregolal’universo. Speriamo.
Richiamo il numero la sera e il mattino successivo: staccato.
Ci avviamo comunque in stazione. Qualcuno, infine. risponde.
E’ una signora georgiana. Una sua amica che non parla italiano e che cerca lavoro (a Napoli? Povera) ha visto lo zaino e lo ha portato a casa. Hanno trovato il numero e mi ha chiamato. Ci diamo appuntamento in Feltrinelli. Forse la cosa va in porto. Niente cavalli di ritorno, quindi. Ma dai.
Penso positivo. Alzo il volume interiore della modalità amore.
Mille pensieri affollano la mente. Come fa a trovarmi? Non parla italiano come fa a chiedere? Troverà la libreria? Niente. Non arriva nessuno, è in ritardo. L’amico Gaspare ha un colpo di genio: la libreria ha due entrate, una sulla piazza. Resta qui.
Torna radioso: c’è la signora con un’amica, e il mio zaino.
Me lo porge e l’amica traduce: “Guardi se c’è tutto”.
Sì c’è tutto. Le chiedo se posso abbracciarla. Lo faccio.
Poi le porgo una ricompensa. Scuote la testa, non la vuole.
Devo insistere. Così Gaspare e la sua amica. Accetta.
Una donna disoccupata dell’est che non parla italiano si è sbattuta per restituirmi intatto lo zaino. Non ha pensato nemmeno un attimo di tenerselo. O di approfittarne. Sono stordito.
Ci salutiamo.
Solo allora la riconosco: era la donna della stazione di Cassino.
L’amore gira. Giuro.
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