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In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: 
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Mc 16,15-18

Paolo è l’unico santo di cui celebriamo la conversione e non solo la nascita al cielo o, nel caso di Maria e di Giovanni Battista, la nascita terrena. Questo singolare privilegio nasce dal fatto che la sua conversione è diventata esemplare per ogni discepolo che in essa si riconosce. Gli studiosi ci dicono che sono due le forme di conversione principale: quella improvvisa, folgorante, che ti afferra e ti cambia radicalmente, e quella più riflessiva, culmine di un lungo percorso di discernimento e di conoscenza. Ma nell’uno come nell’altro caso, la conversione è solo un punto di partenza che deve essere continuamente verificato dalla quotidianità: la conversione dura tutta la vita e non è raro leggere di credenti che, ben oltre la metà della loro vita, hanno ricevuto un’ennesima chiamata ad un cambiamento radicale (san Vincenzo de’Paoli, san Giuseppe Cottolengo, Madre Teresa di Calcutta…) che li ha portati su strade inattese. Per noi, oggi, il richiamo alla conversione di Paolo ci spinge a fare memoria della nostra personale conversione, subitanea o frutto di un lungo percorso che sia, e a impegnarci al cambiamento che anche da devoti (proprio come lo zelota Saulo!) dobbiamo fare.

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