Lascio fluire gli eventi.
Ci provo, almeno. E cerco di vivere quello che dico. Che scopro. Che vi dico.
L’autunno aiuta. Con le sue giornate brevi e piovose, le foglie che arrivano davanti alla porta di casa, l’odore della nebbia e la neve appena sollevi il capo.
La Parola mi fa compagnia. E la tante conferenze (sì, ne ho aggiunte). Da eremita a full immersion nelle città, nelle parrocchie piccole e grandi, da Trieste a Scampia, da Lugano e Bari. Non mi capacito della fortuna immensa che ho avuto in sorte.
Le notizie che mi arrivano da fuori mi lambiscono, a volte mi scuotono, a volte mi avviliscono. Il maltempo, le case costruite sui greti dei fiumi, il vento che abbatte le foreste (il riscaldamento globale? Naaa, invenzione dei catastrofisti), la solita sceneggiata della politica, le contrapposizioni, le urla sempre più diffuse, la fine dell’Impero…. E anche le notizie futili, minori, inutili, mischiate a quelle drammatiche, in questa overdose di informazioni, di notifiche, di like che ci travolgono.
Fra le tante notizie gossippare, arriva anche a me la fine della storia fra Salvini e la Isoardi (manco sapevo che stessero insieme né, sinceramente, mi importa molto), eppure un dettaglio, notato dal grande Nicoletti, mi ha acceso un link.
Si tratta del selfie con annessa citazione del grande Giò Evans con cui la signora Isoardi ha comunicato al mondo la fine del suo amore, peraltro importante, afferma.
L’avete vista, quella foto, inutile indugiare. Salvini addormentato, o così pare, abbandonato fra le sue braccia. Lei, in accappatoio, truccata, che guarda l’obiettivo.
Quell’immagine mi ha un po’ scosso, sinceramente.
Mi è sembrato di essere un guardone. Di entrare in una camera da letto dopo una appassionata performance amorosa. Come un visitatore inopportuno. Il mondo è questo, ormai, bello mio, mi confida un amico. Lo so ma ci resto male. Per quel richiamo biblico a Giuditta e Oloferne o Dalila e Sansone. Il riposo del guerriero dopo l’ebbrezza dell’amore usato per colpire, ferire, dominare. Fra mille immagini per un addio proprio questa, così intima, così privata e preziosa.
Oscena. Messa in scena.
Non penso (spero) fosse l’intenzione della signora Isoardi. Ma l’effetto è quello.
Il nostro è diventato un mondo di guardoni, di attori, di finzione.
Cumuli di selfie in pose fintamente naturali. Di richieste di like. Per non scomparire, per lasciare una qualche traccia di noi. Anche a costo di mettere in piazza emozioni e sentimenti delicati come la fine di una relazione.
No, non faccio il moralista fuori luogo.
Anzi, questa vicenda, ancora una volta, a me racconta di uno sconfinato bisogno di esistere che portiamo nel cuore. Ma che indirizziamo, spesso, nella direzione sbagliata.
Dentro, non fuori.
Lì dobbiamo andare.
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