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(In questa festa del Corpus Domini condivido un brano tratto dal mio Ultimo sì)

 

Andate da un tale

Nel primo giorno degli Azzimi, all’ora in cui s’immolava l’agnello pasquale, i suoi discepoli gli dicono: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la pasqua?». Egli manda due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate in città. Vi si farà avanti un uomo che trasporta un’anfora d’acqua. Seguitelo e, dovunque entri, dite al padrone di casa: “Il Maestro manda a dire: Dov’è la mia sala, in cui possa mangiare la pasqua insieme ai miei discepoli?”. Egli vi mostrerà una grande stanza al piano superiore, già arredata e pronta. Là preparate per noi». I discepoli andarono e, giunti in città, trovarono com’egli aveva loro detto e prepararono la pasqua (Mc 14,12-16).

 

L’agnello pasquale va consumato dentro le mura della città, i pellegrini sono autorizzati a mangiarlo fuori, visto il gran numero di persone giunte a Gerusalemme.

Si tratta di trovare una sala adatta, una stanza pronta, come, ancora oggi, in un qualunque albergo ebraico di Israele trovate delle stanze appositamente preparate per celebrare la pasqua.

 

Gesù manda due discepoli e affida loro il compito di contattare una persona, un tale, conosciuto dai discepoli.

Chi è questo tale?

Alcuni autori giungono a immaginare che la grande stanza addobbata sia di proprietà di un discepolo di Gesù, appartenente alla classe sacerdotale, che abita nella città alta.

Forse, addirittura, si tratta di Giovanni l’evangelista, in passato identificato con Giovanni l’apostolo.

 

Che Giovanni evangelista non sia Giovanni l’apostolo, fratello di Giacomo, chiamato boanerghes, spiegherebbe molte cose.

Il fatto che il suo vangelo sia quasi esclusivamente ambientato a Gerusalemme fa pensare che sia originario della città e non della Galilea come l’apostolo, che non dica una parola degli eventi in cui sono coinvolti Pietro, Giacomo e Giovanni come riferito dai Sinottici, la sua straordinaria conoscenza della Scrittura, la presenza, nel prologo, di alcuni temi in uso alla riflessione rabbinica che ne fanno non un pescatore, ma, piuttosto, un dottore della legge, la facilità con cui entra nella casa del sommo sacerdote Anna e vi fa entrare Pietro (Gv 18,15-16) e, soprattutto, il fatto che il quarto evangelista non si identifica affatto con l’apostolo Giovanni, sono elementi che rinforzano questa tesi: Giovanni evangelista non è Giovanni l’apostolo.

La sua presenza accanto a Gesù durante la cena, più vicino di Pietro, si giustifica bene se egli è il proprietario della casa che li ospita.

È la casa di Giovanni l’evangelista, sacerdote del tempio?

È possibile. Mi piace pensarlo e ci sono degli indizi che sostengono questa tesi.

 

Mi piace moltissimo la versione di Matteo in cui i discepoli dicono alla persona designata:

 

Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino: vorrei celebrare la pasqua insieme ai miei discepoli presso di te” (Mt 26, 18).

 

Perché nessuno degli evangelisti ricorda il nome del proprietario della splendida stanza alta, addobbata, che diventerà anche rifugio per gli apostoli dopo la crocifissione e, forse, la stanza della Pentecoste? È un luogo importante, essenziale, conosciuto dalla primitiva comunità!

 

Forse perché è un particolare senza importanza, annotano alcuni.

Azzardo un’ipotesi: se davvero è la stanza di un sacerdote, e questo sacerdote è l’evangelista Giovanni, forse non era opportuno svelarne l’identità.

O forse perché l’invito ad addobbare la stanza alta è rivolto a ciascuno di noi, ad ogni discepolo.

 

Gesù desidera celebrare la pasqua presso ciascuno di noi, nella nostra vita, nella nostra stanza interiore.

La fede non è un evento che ci sfiora, che ci sta accanto, che ci vede partecipanti part-time, l’evento delle feste comandate e della domenica, da tirare fuori quando serve.

È finito il tempo in cui Dio si nascondeva misteriosamente altrove.

Egli è presente nella quotidianità, incontrabile, riconoscibile, accessibile.

Meglio: manifesta il suo desiderio di stare con noi, di stare con me.

 

Abbiamo una stanza addobbata in cui accogliere il Signore, nella nostra vita?

Un luogo, un tempo, un atteggiamento che gli permetta di celebrare il dono della sua vita?

Può essere un tempo di preghiera quotidiano, un ritiro annuale in una casa di spiritualità, l’abitudine a meditare la Parola…

 

Il grande dramma del nostro tempo è che lamentiamo l’assenza di Dio.

Ma non ci facciamo trovare.

Dio ci rende partecipi, si fa nostro ospite, si dona totalmente.

Lasciamoci incontrare.

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