Una delle cose che proprio mi piacerebbe fare è recuperare il 2 novembre.
E’ curioso un paese che festeggia i santi (e ci sta) e si dimentica i defunti. Così tutti al cimitero nel giorno sbagliato, doppia messa (quelli tanto virtuosi): santi al mattino, defunti dopo pranzo.
(Sinceramente, ma lo dico sottovoce perché volano le clave, mi sembra una battaglia molto più interessante di quella di Halloween).
Fedele alla mia impostazione di vita sempre più aliena e potendomelo permettere mi organizzo per andare a trovare i miei defunti il 2 mattina. Sulle scale di casa incontro mia cognata che si lamenta della beffa di un ottobre caldissimo e dell’improvvida gelata del 31 notte che ha danneggiato tutti i fiori del cimitero.
Non ho ancora visto, rispondo, e al suo sguardo interrogativo spiego le ragioni.
Penso alla riflessione birichina dell’amico Alberto Maggi che giustamente suggerisce di regalare i fiori ai vivi finché siamo in tempo. Magari la gelata andava in quella direzione.
Poca gente al cimitero, quasi nessuno. L’aria di una casa all’indomani della festa. Passeggio mentre il sole sorge e accarezza i volti delle lapidi con la sua luce radente.
Essere nato e cresciuto in un paese ha un grande vantaggio: conosco almeno la metà degli ospiti. Me la prendo con calma. Certe persone so chi sono, altre solo di vista. La memoria riavvolge il nastro e mi vedo bambino. Come si vedono in maniera diversa le cose da bambini!
Saluto nonno Aimé con la sua faccia da schiaffi. Che volto interessante! Era il terrore di noi bambini del cortile per la sua fama di uomo rude e diretto. Poi la nonna, zio, papà, mamma… Sento grande serenità, chiacchiero con loro, auguro loro un buon percorso perché so che le loro anime stanno camminando verso la verità.
Chiedo aiuto per il mio cammino di anima.
Prima della messa ho tempo di scendere all’altro paese di origine di mia madre, Pollein.
Qui il freddo è ancora più pungente e il sole ancora non si vede. Fatico a recuperare le tombe: nonna Chèrie, nonno Narciso, i prozii… quante storie, quanti ricordi. Prego con loro e per loro.
Arrivo davanti alla grande stele che sovrasta la tomba degli zii: Ugo, il più giovane fra i fratelli di mia madre, Grazie e il piccolo Gill, mio cugino di 20 mesi, travolti dall’alluvione del 2000. Hanno dovuto fare un fotomontaggio per metterli assieme, recuperando le immagini dagli amici perché l’onda, oltre alle loro e altre sei vite, ha cancellato ogni cosa, ogni presenza, ogni traccia, ogni ricordo.
Le zie hanno piantato, molti anni fa, una rosa che disegna un arco sovrastando la stele.
Nel punto più alto dell’arco, inattese, tre rose rosse. Due fiorite e un bocciolo.
Tutte appena sbocciate, nonostante il gelo della notte. Le accarezzo, un brivido profondo mi attraversa la schiena. Sorrido. Sì, hanno finito il loro percorso. Sono fioriti.
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