(Rientrato da due ore nel bosco)
E’ successo anche a me.
Mi è successo di gridare verso Dio il mio dolore, la mia disperazione, e di non ricevere alcuna risposta.
In quei momenti capisci fino in fondo il significato della parola “solitudine”, e non pensavi che il tuo corpo riuscisse a reggere tanto dolore.
Dolore puro, dolore distillato, dolore assordante.
E Dio non c’è.
Con gli anni ho scoperto alcune cose semplici, di Dio e di me.
Ho scoperto che ognuno di noi porta nel proprio inconscio un’idea di Dio.
Un’idea naturale, spontanea, legata alla struttura della personalità.
Molte persone che si dicono atee rifiutano, in realtà, quest’orribile immagine di Dio che si portano nel cuore e che – ahimé – noi cristiani talvolta confermiamo con le nostre azioni.
Quest’idea innata di Dio è, all’apparenza, ragionevole e credibile: un Dio creatore, sapiente, intelligente, perfetto, custode dei segreti della vita e dell’universo, assiste dall’alto della sua perfezione (un sommo egoista bastante a se stesso?) alle vicende umane.
Molte persone credono (o non credono) in un Dio garante e custode dell’ordine costituito, che fa le cose per benino, che premia i buoni e punisce i cattivi, che è all’origine di ogni buona norma e buona educazione: una specie di superpapà ragionevole e candido, che mi guarda accigliato se sbaglio e sorridente se faccio bene.
Ma, alla resa dei conti, questo Dio è lontano, irraggiungibile, incomprensibile.
Vorrei essere migliore, ma non ci riesco.
Vorrei essere buono, ma una parte oscura di me finisce sempre col prevalere.
Vorrei essere tutelato dalle difficoltà, ma questo padre sembra disinteressarsi di me.
Oh, certo, forse lo fa per educarmi, forse ci sono cose che non capisco, forse mi rafforzerò dopo la prova.
Ma che padre è un padre che accetta così tanto dolore da parte di un figlio?
La sensazione finale, Marta, è che di un Dio così, io non so proprio cosa farmene.
Tasto dolente, poi, quello della fragile testimonianza di noi discepoli.
Noi chiamati, noi che abbiamo scoperto il volto di Dio, noi segnati dal sigillo dell’Agnello, noi uomini e donne nuovi, noi appartenenti a Cristo, come lascia sottintendere la definizione di “cristiano”, che, invece di essere trasparenza di Dio, rischiamo di essere un pesante tendone scuro davanti al suo vero volto.
Noi che dovremmo accogliere chi cerca Dio, viviamo stancamente la nostra appartenenza alla comunità.
Noi che dovremmo testimoniare la novità di vita del Vangelo nel concreto, finiamo col commettere gli stessi errori dei non credenti, e di affrontare con mentalità mondana l’interpretazione della storia.
Noi che dovremmo testimoniare la gioia del Risorto, diamo un’immagine tristissima del cristianesimo.
Esagero, e di questo chiedo scusa a chi prende molto sul serio il Vangelo.
Ma so che questa è esattamente la sensazione che la stragrande maggioranza delle persone che abitano in questo momento in Italia, vivono sulla propria pelle…
Dio non è così.
Il Dio di Gesù non è così.
Gesù è venuto apposta per correggere quest’orribile idea di Dio.
L’ha smontata pezzo per pezzo, l’ha negata, contraddetta, riportandola alla sua verità originale.
Io non credo in Dio io credo nel bellissimo Dio che Gesù è venuto a raccontare.
E per farlo ho dovuto convertire il mio cuore, e ancora lo sto convertendo, ho dovuto abbandonare le mie paure, le mie approssimative e parziali visioni di Dio, per lasciarmi stupire dalla novità del Vangelo.
Per conoscere il vero Dio, bisogna prima demolire gli idoli, le false rappresentazioni di Dio.
Per demolirle bisogna riconoscerle e ammetterle, chiamarle per nome e cognome.
Per chiamarle bisogna essere molto onesti con se stessi, e avere molta umiltà.
Non è cosa da poco.
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