Sento il bisogno di isolarmi, di partecipare ad una celebrazione tranquilla, semplice, senza effetti speciali, senza grandi predicatori, senza folle plaudenti. Salgo in montagna in una piccola parrocchia: qui si celebra la Messa in Coena Domini che raggruppa quattro piccole comunità.
D’estate c’è un po’ di turismo ma qui, ora, solo la gente del posto.
Il parroco ha fatto venire i bambini del catechismo e le loro mamme. C’è anche la piccola cantoria inter-parrocchiale che canta dignitosamente senza accompagnamento. Si fa quel che si può.
Eccomi. Appena entro in chiesa mi sale l’emozione.
Penso a quella sera, a quella notte. Alle donne affaccendate nel preparare la cena, al trambusto, al sorriso mesto del Signore. Così non mi disturba affatto il clima rilassato dei presenti, le chiacchiere, le ultime prove di canto. Il parroco, tenero, ha acceso il riscaldamento, c’è un bel clima tiepido.
Inizia la celebrazione. Semplice, quasi dimessa.
Una mamma porta un secchio con l’acqua calda e la lavanda ai pochi bimbi presenti che ridacchiano è fatta con un catino di plastica. Nessuna solennità, nessuna afflato mistico, è tutto così vero.
Le emozioni ora debordano.
Penso a quei gesti, ripetuti, in questi giorni, in migliaia, in decina di migliaia di comunità. Nelle grandi Cattedrali, nelle celebrazioni solenni e pompose, nei chiesoni anonimi delle periferie, nelle chiese delle piccole comunità.
Quel gesto, quella cena. E poi le vie crucis. E la veglia pasquale.
Siamo alla fine della celebrazione, la piccola cantoria intona un dignitoso “Tantum Ergo”.
Ora Gesù è solo. Solo nelle sue scelte. Solo nel dramma di donare la propria vita quando, apparentemente, tutti fuggono. E gli parlo, lo consolo, in silenzio.
No, non sei solo, Signore.
Guarda quanto sei amato. Nella povertà di ciò che siamo. Nella piccolezza delle nostre celebrazioni. Nel limite che ci fa sempre inciampare.
Non è inutile il tuo sacrificio, non è persa la tua morte.
Siamo qui, amatissimo Signore. Qui grazie a te.
5 Comments