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Michele Gesualdi era al piccolo cimitero di Barbiana a sistemare la tomba della nonna Giulia. Vide arrivare il cardinale Florit, ormai dimissionario, in semplice talare, accompagnato da un prete della curia. Si fermò davanti alla tomba di don Lorenzo. In mano teneva l’edizione appena uscita delle Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana. L’ultima volta che si erano visti, in vita, erano volate scintille e male parole. E, caso più unico che raro, don Lorenzo, divorato dal cancro, non ebbe neanche la consolazione di vedere il proprio vescovo celebrare il suo funerale. Solo fino all’ultimo.

Gesualdi racconta che il cardinale, dopo avere sostato in preghiera, si volse verso il suo accompagnatore e, visibilmente scosso, disse: ma quanto mi avete male informato su questo sacerdote.

Evidentemente aveva finalmente letto le lettere di don Milani, scoprendo chi fosse veramente.

E’ la stessa sensazione che proveranno molti leggendo il libro Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana (San Paolo, 2016) scritto da Michele Gesualdi che non è un autore qualunque ma uno dei sei ragazzi che a Barbiana fecero parte della scuola fondata dal Priore e che, dopo una intensa vita di servizio come sindacalista e politico, ci regala, è proprio il caso di dirlo, il ritratto di un don Milani inedito, intimo, delicato, denso, commovente, radicale, come solo un alunno, un figlio, un discepolo è in grado di fare.

Inedito per quanti, e sono la maggioranza, hanno una conoscenza solo parziale di ciò che fu e fece don Lorenzo Milani, prete fiorentino, nato in una ricca famiglia borghese, convertito al Vangelo ed entusiasta neofita, di amatissima madre ebrea, che ebbe a confrontarsi e poi a scontrarsi con quello che, allora, era il mondo cattolico dell’Italia del dopoguerra, un mondo strutturato, forte, determinato, senza sfumature, senza possibilità di cambiamento.

Don Lorenzo veniva da un altro mondo e per lui il Vangelo era ancora salato. E quel sale, un misto di entusiasmo evangelico sovrapposto ad un temperamento diretto e verace, da una parte insaporì la vita di molti che erano tenuti fuori dalle logiche della Chiesa italiana dell’epoca ma, dall’altra, mise in luce tutte le contraddizioni che già allora soggiacevano a quel cattolicesimo sociale e politico che ora vediamo chiaramente.

Ma, si sa, i profeti, quelli veri, intendo, fanno soffrire e soffrono terribilmente. 

La Chiesa attirava i giovani con gli oratori e le saghe? Don Lorenzo, a San Donato, mise in piedi una scuola popolare per i giovani, tutti, anche per i figli dei comunisti. La visione della fede, per lui, assoluta, radicale, indisponente, non permetteva di trastullarsi ma di andare diritti al cuore del problema: o la fede plasma uomini e mondi nuovi o non è. 

L’avversione nei suoi confronti e nei confronti della sua opera cominciò a crescere: fra i benpensanti che si sentivano duramente giudicati, fra i confratelli, fra i politici cattolici, fra i comunisti che in questo prete fuori da ogni logica vedevano un pericoloso concorrente.

Mandato in esilio a Barbiana, una chiesa in mezzo al nulla di un bosco fra le colline, nei pressi di Vicchio, don Lorenzo fece l’unica cosa che sapeva fare: amare aiutando i ragazzi a diventare uomini, servendo i poveri regalando loro una cultura completa, totale, totalizzante per poter affrontare alla pari un mondo fondato sulle classi sociali e sui pregiudizi. Gli anni di Barbiana lo videro consumarsi come un fuoco.

A San Donato, prima di partire, uno dei suoi gli suggerì di andare dal cardinale e gettare il collare dicendogli che non era un cane. Don Lorenzo gli replicò, stizzito, che lui invece era un cane e di quelli obbedienti.

Questa dimensione sfuggiva a tutti: entusiasti e detrattori, amici e nemici. Don Lorenzo era uno dei quei preti forgiati nell’acciaio, obbedienti alla Chiesa anche quando questa lo schiaffeggiava, intimorita dalla sua forza innovativa.

Molti ricordano il Milani educatore e il suo Lettere a una professoressa, il Milani pastoralista con il suo rivoluzionario (e allora censurato) Esperienze Pastorali, il pacificatore di Lettere ai cappellani militari. Non era un populista, non urlava per il gusto di farlo, non giocava a fare il profeta, come accade oggi.

Lo era, profeta, senza saperlo, soffrendo come un cane per l’isolamento in cui la Chiesa lo aveva confinato perché incapace di coglierne l’anima divorante.

Questo libro, buon ultimo di una lunghissima serie, mi ha confermato in un’intuizione che porto nel mio cuore da decenni e su cui ho anche lavorato in fase accademica (La figura del sacerdote nell’epistolario di don Lorenzo Milani è il lavoro prodotto per il mio baccellierato in teologia). Se togliete l’esperienza bruciante della sua conversione e della sua vocazione, la radicalità del suo amore per Cristo e per la Chiesa, don Lorenzo diventa uno dei tanti rivoluzionari auto-referenziali di quegli anni.

Non era né di destra né di sinistra, né conservatore, né rivoluzionario, don Lorenzo Milani.

Era di Cristo. Tutto.

Disperatamente travolto da Cristo che riconosceva e serviva nei poveri.

Grazie a Michele Gesualdi per avercelo ricordato.

Qui il libro:

https://www.ibs.it/don-lorenzo-milani-esilio-di-libro-michele-gesualdi/e/9788821599569

 

1 Comment

  • Pietro da Brescia, 8 Febbraio 2017 @ 09:32 Reply

    Ho letto alcuni libri su Don Milani, oltre che visitare Barbiana e San Donato. Don Milani mi ha aperto una dimensione della fede nuova che va al cuore del Vangelo, che mette l’amore verso le persone al pari dell’amore verso Dio. Per lui era la stessa cosa, come scrive nel suo testamento spirituale. Devo pure ringraziare Paolo Curtaz per le sue riflessioni domenicali, perché sento in esse lo stesso spirito e entusiasmo per il Vangelo di Don Milani. Grazie Paolo.

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