Non ho voglia di suscitare polemiche.
Io che vivo di parole sono stanco di usarne e di usurarle.
E non ho opinioni definitive, assolute, né tantomeno soluzioni che ci facciano uscire dal baratro in cui siamo sprofondati.
Da settimane non riesco a vedere un telegiornale insieme a mio figlio, turbato prima dall’Isis e ora dai volti spaventati di quei bambini come lui che non capiscono chi siano quei soldati che, in Macedonia, in Ungheria, manganellano i propri genitori.
Lo so, fra i trecentomila che hanno invaso l’Europa nel 2015 solo la metà provengono dalle zone di guerra dell’Asia e dell’Africa, gli altri, invece, cercano fortuna. Lo so, il mito dell’Europa come luogo di sicurezze e di possibilità è falso ed è un terribile specchietto per le allodole e lo sappiamo bene noi che non abbiamo futuro . Lo so, non possiamo accogliere tutti, né illuderli. Ma nemmeno trattarli come bestie da cacciare, come parassiti di cui liberarsi erigendo muri.
Lo so: la carità e la compassione non si fermano all’emozione e alla pena, ma devono essere concrete e operative, realistiche e realizzabili. Lo so, per chi vive la fede sul serio è disgustoso vedere manipolare parole di papi e di vescovi per raccogliere qualche voto parlando alla pancia della gente.
Lo so, l’Africa esplode dopo che l’abbiamo spremuta come un limone. E se la gente viene qui è perché, da loro, nonostante cinquant’anni di illusori progetti di sviluppo, si sta dieci volte meglio di prima, ma mille volte peggio che non da noi.
So tutto e il mio cuore si ingolfa, fugge, attonito.
Ma questa tragica foto, un abile fotomontaggio dell’artista Bansky, è la perfetta sintesi dei miei sentimenti e del mio disagio. Un’Europa che gira la testa dall’altra parte, che scarica i barili, che fa finta di intervenire, che parla e straparla.
Intanto la gente annega.
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