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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!». Mt 7,6.12-14

Due detti di Gesù inquadrano la regola aurea presente anche in esperienze sapienziali e religiose messa però in positivo: siamo chiamati a fare agli altri ciò che vogliamo che gli altri facciano a noi. Una visione positiva, non riduttiva (non fare), che ci spinge ad osare, a immaginare, a immedesimarci nei panni altrui. Sapendo, però, che non tutti possono cogliere con la dovuta attenzione il messaggio del vangelo: a volte è meglio tacere che dare la perla del Regno in pasto a chi non vuole accoglierlo e capirlo. Chiamati a rendere testimonianza, non sempre è opportuno farlo se il contesto in cui siamo disprezza le cose che stiamo per dire. Così in ufficio, a scuola, ma anche a casa, ci sono delle situazioni in cui è meglio tenere la fede per sé, evitando di creare inutili conflitti e contrapposizioni. L’ultimo detto lo sperimentiamo quotidianamente, avendo preso il vangelo seriamente: essere discepoli sul serio non è facile, è esigente, faticoso, in certi momenti ci si trova a combattere contro la mentalità imperante che scansa ogni impegno e responsabilità. È impegnativo amare davvero, è gioiosamente faticoso accogliere il vangelo così come Gesù lo ha vissuto.

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