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Se la mia vita funziona e le cose vanno come vorrei io, Dio è buono.
Se invece le mie cose vanno male, allora Dio non esiste.
O se esiste è una carogna.
Un po’ forzato, ma è il ragionamento che sento fare a molte persone e che, devo ammetterlo, a volte trovo anche in me stesso.
Magari non così grossolano, più elaborato e “cattolico”, ma abbastanza simile.

L’attenzione alla persona, l’uomo messo al centro, la scoperta delle individualità dopo un orribile secolo sacrificato alle ideologie e alle masse, sono grosse conquiste che, però, portano con sé alcune conseguenze negative, alcune esagerazioni.
Così l’uomo messo al centro rischia di essere autoreferenziale, vuole diventare il metro di giudizio di ogni cosa, accentua ed esaspera la connaturale tendenza alla sopraffazione che porta nel cuore e che la Bibbia descrive nel racconto della Genesi.

Da questa autoreferenzialità deriva, probabilmente, l’idea di corrompere Dio, di convincerlo ad esaudire le nostre (sempre) legittime richieste. Se Dio c’è dovrebbe occuparsi di me. E poiché io sono cattolico e so che Dio si occupa degli uomini, devo convincerlo ad esaudirmi. La preghiera, in questo contesto, rischia di diventare una sorta di elenco della spesa, di promemoria che Dio dovrebbe segnarsi per dimostrare di essere davvero efficiente.

In questo cammino di quaresima una delle conversioni che mi è richiesta è proprio quella di passare dalla visione di un Dio da corrompere e convincere al Dio di Gesù che è un Padre che non mi soffia il naso ma mi spalanca l’anima.
Dalla visione della fede come accessorio della vita alla fede come sorgente della vita.
Fa bene Gesù a ribaltare i tavoli della compravendita.
E a cacciare i mercanti dalla nostra logica di fede.
Che la quaresima ci aiuti a recuperare il senso della gratuità che, necessariamente, precede e accompagna la conoscenza di Dio.

2 Comments

  • rosanna minichillo, 8 Marzo 2015 @ 08:21 Reply

    Grazie

  • Paolo, 11 Marzo 2015 @ 12:44 Reply

    Il ragionamento non fa una piega, tuttavia mi domando: se Gesù ci ha dato la possibilità di chiedere al Padre in base alle nostre necessità e ai nostri bisogni (perché no, anche materiali) – per attuare la sua volontà – per quale motivo non dovremmo farlo? Anzi direi anche che non farlo denoti una mancanza di fiducia nella grandezza della Sua potenza.
    Troppo spesso infatti non chiediamo perché pensiamo che tanto sia già tutto compromesso e che ci si debba abbandonare tristemente ad una presunta “volontà di Dio” o peggio, con una visione, a mio avviso, oscurantista, che la sofferenza avvicini di più alla salvezza.
    Non sono d’accordo, Dio non vuole che soffriamo, lui ha pagato a caro prezzo questo nostro privilegio.
    Quello che propongo è che non ci si rivolga al Padre come un juke box pretendendo un risultato, ma che, tuttavia, si chieda con fede un risultato. Questo potrà anche non arrivare subito o forse non arrivare (apparentemente), ma questo in un disegno più ampio di Dio, che a noi non è dato conoscere, potrebbe servire ad un altro fine.
    Grazie per i suoi interessanti commenti

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