Il temporale estivo scarica tutta la sua energia. Siamo rientrati appena in tempo. Le prime nubi sulla cresta, a interrompere una altrimenti luminosissima giornata di fine estate, e il vento improvviso mi hanno allertato.
Siamo scesi appena in tempo, meno male.
Amo la montagna, mi pare evidente.
Di solito siamo portati ad amare i luoghi in cui siamo nati e cresciuti, se ad essi leghiamo dei bei ricordi. Per accorgermi di un mondo “altro” ho dovuto aspettare gli anni dell’università.
Ma il legame che ho verso la “mia” montagna assume sfumature che vanno al di là della spontanea simpatia che ci lega ai luoghi che abitiamo.
Questa estate mi ha visto riprendere qualche escursione. Non ne facevo da tempo, per una serie di circostanze sfavorevoli: il peggiorare della vista, la pigrizia di J che scoraggiava le gite superiori ai 45 minuti, l’età e la vita sedentaria che non aiutano…
In queste ultime settimane, invece, sembra che la sorte si sia ricordata di me: Jakob apprezza le escursioni che superano le due ore (quattro con il ritorno), la vista è accettabile e la voglia supera la pigrizia famigliare.
Nulla di eclatante: qualche lago in quota, qualche rifugio, gite affrontate da turista, senza ansia da prestazione.
Mi sono imposto un’estate lontano dalla scrittura, per non usurarmi, per non diventare un mestierante, per darmi il tempo di vivere, per non comunicare vuote nozioni, ma pensieri che prima di toccare il cuore abbiano sfiorato la mia, di anima.
Ho provato piacere fisico a raggiungere la meta, fissando lungamente il profilo delle rocce contro il cielo terso, assaporando il vento sulla pelle e scrutando attentamente il panorama sempre diverso, imponente, austero, silenzioso.
È la sensazione, immagino, che provano i liguri davanti al loro mare o i toscani ammirando gli incredibili colori delle loro colline.
Mi aiuta la montagna, mi sprofonda inesorabilmente in un atteggiamento di riflessione.
In altitudine, quando ogni traccia umana scompare dalla vista e appena si intuisce, in fondo alla vallata, l’insinuarsi di una strada, ritrovo la misura di ciò che è l’uomo davanti al Creato.
Ritrovo il senso del limite, la percezione dello spazio assoluto in cui siamo immersi.
Ospiti.
Viandanti.
Mendicanti.
Nulla.
Temo chi affronta la montagna col cronometro in mano, o la gita scanzonata della colonia estiva, o la faticosa passeggiata del cittadino che vuole raggiungere un obiettivo per vantarsene con gli amici. La montagna è lì per stupire.
Occorre prepararsi allo stupore, educarsi alla meraviglia.
E lo si può fare solo se partiamo dalla consapevolezza che tutto è inatteso.
(Apposta non registro qualche commento quando vado nei miei luoghi “speciali”. Cellulare spento, niente foto, niente riprese. Non si può fermare lo stupore)
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