(Questo è un articolo birichino. Chi si sentisse turbato vada oltre, grazie: Tenete sempre presente che sono un guascone impenitente)
Leggo il Corsera ho un sobbalzo mattutino. Il titolo è inequivocabile: “Il Vaticano ribadisce: i gay non possono diventare preti”. Avendo a che fare con la comunicazione per lavoro, ho sviluppato uno scetticismo cosmico rispetto all’interpretazione delle notizie e così cerco di recuperare il documento in originale e, dopo alcune peripezie su Internet, riesco a procurarmi il testo. In effetti, leggendolo con attenzione, mi rendo conto che il documento, decisamente restrittivo, risponde ad un problema che è esploso negli ultimi trent’anni: il cambiamento radicale della civiltà occidentale ha coinvolto anche i candidati al sacerdozio. Ovvio, visto che non provengono da Plutone. Se il mondo sperimenta una forte fragilità affettiva e una frammentazione dell’essere, è normale, statistico, che questo problema abbia una ripercussione anche sui preti. Anche se non se ne parla molto e quando se ne parla, se ne parla male, in questi ultimi anni assistiamo ad un certo numero di preti che chiedono di lasciare il ministero. Si tende a banalizzare, purtroppo, ma conoscendo bene alcuni di questi preti che mi onorano della loro amicizia, so che, spesso, proprio la dolorosa scoperta di una frammentazione interiore sta all’origine di diversi conflitti spirituali che sfociano nell’abbandono del ministero. Il documento, dal titolo «Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio», presentato dalla Congregazione per l’Educazione cattolica, suggerisce ai rettori dei seminari e ai vescovi di utilizzare psicologi, naturalmente di fede cattolica, per valutare eventuali problematiche non risolte dei candidati al sacerdozio. «Il cammino dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità di affrontare realisticamente, se pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate)». «Lo stesso – aggiunge – deve valere anche nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere la castità nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromette l’equilibrio affettivo e relazionale». Al di là della spinosissima questione dell’omosessualità, è normale che i vescovi si rendano conto che non basta l’adesione al celibato per avere un prete affettivamente equilibrato e, perciò, si ricorre ad una specie di verifica utilizzando lo strumento della psicologia. E questa è già una gran novità, conoscendo la tormentata vicenda che ha legato la religione alla psicologia e la pessima opinione che il signor Freud aveva della fede (e viceversa)! Ci sono casi abnormi che, giustamente, vanno selezionati e caritatevolmente fermati, soprattutto in un momento di grave crisi vocazionale, quando si tende a farsi andar bene chiunque sia disposto a diventare sacerdote. Da fedele vorrei, però, che l’analisi superasse il ristretto ambito dell’affettività: alcune volte abbiamo a che fare (casi rari, per grazia!) con preti, anche giovani, che non sanno collaborare, che vivono una distorta percezione della propria immagine, che si fanno preti pensando di essere applauditi per la loro scelta coraggiosa. Peggio: va bene stabilire dei criteri, ma non si rischia di insegnare a Dio chi deve scegliere? Mi immagino qualche colloquio storico tra psicologo (cattolico) e candidato: «Abramo, sei tanto caro, ma questa storia che tuo padre faceva il commerciante di idoli credo che ti abbia segnato». «Mosé, sicuramente la tua formazione professionale ti avvantaggia, ma credo che l’onere di seguire una comunità sia al di sopra delle tue forze».«Guarda Davide, tu avrai anche la stoffa per cantare e sei piuttosto astuto e abile nella strategia, ma questa tua propensione a correre dietro alle femmine non ti aiuta certo. Penso che tu non sia adatto a fare il re d’Israele». «Senti, Osea, tu ti ostini proprio a salvare il tuo matrimonio, ma tua moglie è diventata la favola del quartiere per la sua, diciamo, “leggerezza”. Come puoi pensare di fare ancora il catechista?». «Pietro, tu sei davvero generoso e ti impegni, ma non credo che davanti a una forte pressione sociale tu possa essere leale al tuo Maestro». «Paolo, sei pieno di zelo, ma decisamente troppo rigido nelle tue convinzioni: prima eri un fanatico con il fariseismo, ora sei passato dalla parte opposta, un po’ di equilibrio, che diamine!». Che dite, la faccio troppo semplice? Sarà…
(mi viene fatto notare che la questione e’ datata. Vero, la riflessione l’ho fatta qualche anno fa ma i criteri sono ancora validi. Il post, ovviamente, intende solo riflettere sul rischio di metter troppe briglie allo Spirito.Mi sono divertito ad applicare quei criteri ai personaggi biblici)
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