Mi ha chiesto un appuntamento via internet, sapendo che passavo nella sua città a presentare un libro.
Mi porta in un giardinetto , su una panchina, alcune nonne fanno giocare i nipoti sulle giostre. Mi ringrazia, chiede quanto tempo ha, tutto quello che vuole, rispondo; decide di raccontarmi la sua storia con calma. E’ entrato in seminario con slancio, molti anni fa, dopo una laurea in lettere. Poi la decisione del vescovo di inserirlo nella scuola, come insegnante, e come viceparroco. Un’esperienza bella poi, un decennio fa la decisione di dargli una parrocchia ai confini della Diocesi, sulle colline. Una piccola parrocchia, seicento anime, cui se ne’è aggiunta un’altra, dopo due anni, altri trecento. Mi racconta le sue perplessità, la richiesta di lasciare la scuola. Nulla. Anzi: la cattedra è stata spezzata su tre plessi. Le giornate cominciano a diventare un delirio: sveglia alle 5 e mezza, breviario, messa dalle suorine del paese, un’ora di auto, scuola, panino, scuola, un’ora di auto, arrivo in parrocchia verso sera. Documenti, incontri, riunioni. Breviario. A mezzanotte qualcosa da scaldare al microonde. Così per un paio d’anni, con alcuni collaboratori laici che soffiano sui sensi di colpa: non sei mai in parrocchia! Cosa ci serve un prete così! Prima lamentele da bar, poi tensione crescente.
Mi sembra un tipo scrupoloso, un prete corretto, forse eccessivo nel suo zelo, ma sincero.
Sei anni fa la prima urgente richiesta al vicario: toglimi qualcosa, la scuola per essere più in parrocchia. Niente, solite cose, porta pazienza, fai quel che puoi. Sugli incarichi, però, non sentono ragioni. Il prete deve esserci, com’è possibile, che roba… Ascolto e vedo il suo volto contrarsi; la madre vedova si ammala, lui, figlio unico, aggiunge al delirio anche le notti a curarla, non può lasciarla in parrocchia da sola, e la badante non se la può permettere. Due anni a dormire tre ore per notte, E la gente che soffia sul fuoco, mi dice, ora, piangendo. Un giorno il piccolo capetto del paese, temuto da tutti, lo affronta a muso duro: non sanno che farsene di un prete così, che trascura la parrocchia (!) per la madre malata.
Sono basito, non pensavo esistessero persone così, figuriamoci dei sè-dicenti cristiani. Continua, piangendo: tre incontri col vescovo, per dire di spostarlo, che lui non è in grado. E le risposte consuete: porta pazienza, la spina nella carne di san Paolo, prega. E lui, anima, candida, prega, rubando ancora ore al sonno. La mamma muore, infine, ma le cose non migliorano.
Qualche genio in curia gli aggiunge un incarico diocesano. Non osa credere ai suoi occhi, quando riceve la lettera. Parla col vicario generale che lo rassicura: è solo un incarico temporaneo. Passano altri due anni, ormai è un’ombra che cammina, roso dai sensi di colpa, con la paura di fare le riunioni in parrocchia col solito capetto che sa di averlo in pugno e non passa occasione per umiliarlo.
Rodo, mentre lo ascolto: è questa la Chiesa? Dobbiamo dare un prete a comunità così? Perché?
Succede, alla fine, ovvio.
Esplode. Manda una lettera al vescovo che non ha mai capito la gravità della situazione e gli comunica, semplicemente, che smette di fare il prete a partire da una certa data. Il vescovo lo convoca. Mi confida, piangendo: mi avesse detto “resta”, vieni qui a fare le pulizie in episcopio, avrei accettato. Per anni sono andato da lui e dai suoi collaboratori: ero un codice rosso e hanno continuato a misurarmi la pressione. Il vescovo invece, indurito, si dice meravigliato dalla sua decisione e parla dello scandalo che darà. Gli ordina (!) di andarsene a vivere in un’altra città.
Sento uno strazio infinito. Quanti altri preti dovranno morire prima che le nostre comunità si convertano? Quanti, perché i nostri pastori la smettano di tappare i buchi e vedano il dolore dei loro preti?
(La storia che ho narrato è drammaticamente vera. Una delle tante che incontro nel mio percorso inusuale. Ovviamente ho tolto i riferimenti specifici per rispettare il sanguinante percorso di questo prete che vi affido. Ho atteso mesi per pubblicare questo post ma ora lo faccio. Non è un’accusa, ma una fra molte storie. Sogno una Chiesa diversa)
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