“Odio il mio corpo, odio il mio carattere, odio tutto quello che sono”.
Leggo la lettera tutta d’un fiato, mentre gli altri mangiano la pizza. La bocca dello stomaco mi si chiude: quanta sofferenza può portare un ragazzo a tanta violenza? Parlo con i suoi compagni radunati intorno a me: ci siamo appena conosciuti e abbiamo dialogato, fra poco vedrò i loro genitori.
Ormai è quasi passato un anno. D. è andato a scuola, ha visto i risultati negativi del compito, non è entrato in classe, ha girovagato in paese, poi ha iniziato a messaggiare con l’amica del cuore, è andato al passaggio a livello, si è tolto le scarpe ed ha aspettato che passasse il treno. E si è buttato.
Come spesso accade, lo ha fatto con una lucidità impressionante. Un mese prima aveva scritto su Facebook: il mio ultimo mese di vita. Poi ha preparato la lettera. E ha mandato numerosi sms. Tutte richieste d’aiuto inascoltate.
Un trauma per il paesino di 1000 abitanti. Troppo forte per non mettere i brividi a tutti i genitori dei suoi compagni di classe che con D. giocavano a calcio e uscivano al sabato sera. Allora è successo qualcosa, il giorno stesso del funerale. Il sindaco del paese, mio coetaneo, ha chiesto ai ragazzi di vedersi. Si sono incontrati ed è stato straziante, poi di nuovo e hanno deciso di uscirne fuori.
Il sindaco si è attivato, ha contattato degli esperti ma, alla fine, è stata una regista teatrale ad essere accolta dai ragazzi. E lei ha lavorato con loro per un anno, tutte le settimane, cercando un varco che li facesse uscire da quell’inferno, da quell’inverno. I ragazzi, chiusi come solo i montanari sanno essere, hanno faticato, e tanto, tutti sulle difensive. Alla fine la chiave è stata la musica: canzoni scelte da loro, testi che dicevano le loro emozioni, le loro paure, le loro sconfitte, i loro sogni. Venerdì, nelle strade del paese, proporranno agli adulti il loro spettacolo che, in realtà, è un percorso di elaborazione collettiva del lutto , un inno alla vita, una ricerca di senso.
Una settimana fa è stata la regista a chiamarmi: “Vorrei che li incontrassi, e poi i genitori, come sai fare tu”. Tentenno: a che titolo vado? Che dico? Accetto, alle domande risponderò dopo.
Eccomi qui, con la lettera in mano, mentre i ragazzi scherzano e mangiano grosse fette di pizza.
Il sindaco, alla mia destra, ancora mi ringrazia per l’incontro, manifesta la sua preoccupazione, ma anche la speranza per quei ragazzi, uno dei quali è suo figlio. Sì, ce la possono fare, gli rispondo, l’importante è che trovino adulti che li aiutino a sognare, che li amino come sono, che liberino la loro anima. Il titolo dell’incontro di stasera dice molto: La straordinaria anima dei giovani.
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