Fuori è ancora buio e piove. Tanto. Voglio tornare a casa e superare la tangenziale di Milano prima che sia intasata: l’idea è quella di arrivare in tempo per portare Jak a scuola. L’ultimo mese è stato davvero difficile, per lui, febbri improvvise e violente, nulla di grave, ma eventi che capitano sempre quando il suo papà è in giro ad evangelizzare. L’ultima volta sabato sera: ho lasciato le coppie che erano con me ad Albino e sono corso a casa. L’indomani, prodigi della tecnica, ho fatto l’ultima meditazione da casa, via Skype. Salendo, quella sera, piuttosto turbato, mi sono confrontato col mio datore di lavoro: se vuole che io continui a fare l’evangelizzatore free lance deve cortesemente darmi una mano, sennò schiatto. La risposta ieri, mentre ero di nuovo in viaggio, quando sono stato contattato da Radio Vaticana per un’intervista sulla sobrietà nelle prime comunioni.
Ieri sera è andata molto bene, come spesso accade in questi ultimi tempi: i libri, internet, le conferenze, i viaggi… tutto mi dimostra il desiderio delle persone di tornare all’essenziale, di incontrare Lui. La pioggia è battente e nel tratto che mi porta da Bergamo a Milano c’è già molta gente. Cerco di cacciare il sonno e di stare in campana, guardando le luci rosse degli stop di chi mi precede per lasciare uno spazio per la frenata. Brucia ancora l’urto con un tir di un mese fa, di ritorno da una conferenza, fermi in tangenziale, un duro colpo al portafoglio e alla voglia di guidare. Ma si sa, abitare ai confini dell’Impero ha molti vantaggi e qualche svantaggio, quello di essere, appunto, ai confini. Ascolto i vari notiziari, viaggiando: lo spred, Sarkò, il calcio, Ruby… Prevale un senso di angoscia, di notizie da fine del mondo. Anch’io, come tutti, fatico a galleggiare e mi sconforta l’idea di vedere il mio futuro dipendere dalla follia del mercato. Come se non le avessimo fatte noi, quelle regole, come se fosse tutto invitabile.
Ora la pioggia toglie la visibilità, mentre albeggia, ma vedo la barriera di Milano: ancora non c’è la coda, bene. Mentre viaggio in tangenziale cambio stazione radio e mi godo un attimo di classica, alzando il volume. La stanchezza e le tante auto che con me stanno viaggiando mi allargano la mente. Eccoci, tutti in strada, sono le sei e mezza del mattino. Dieci, cento, mille auto, e camion, e furgoncini. Tutti a lavorare, tutti a cercare di sbarcare il lunario. Storie a migliaia e vite e speranze e dolori e gioie.
Sonno che svapora negli abitacoli, mentre, all’orizzonte, uno squarcio nelle nubi annuncia un miglioramento, forse. Prego, facendo dell’abitacolo una cappella. Vedo nell’auto che mi supera Giuseppe che va al lavoro e nel furgoncino che supero il Nazareno che guida. No, non sono allucinazioni, è la logica dell’incarnazione che fa del quotidiano il tempio. Eccolo qui il risorto, a camminare con noi sulle strade Emmaus o la A4 fa lo stesso. Eccolo, presente nel presente, nel quotidiano. Questo Dio che sa, che conosce, che incoraggia.
La pioggia smette, anche se il tempo è grigio. Entro nelle “mie” montagne, la neve è scesa ai mille metri. Telefono alla nonna dicendole di svegliare mio figlio, lo porto a scuola per le 8,30.
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