Torna dunque, Israele, al Signore tuo Dio, poichè hai inciampato nella tua iniquità. Preparate le parole da dire e tornate al Signore; ditegli: “Togli ogni iniquità: accetta ciò che è bene e ti offriremo il frutto delle nostre labbra. Assur non ci salverà, non cavalcheremo più su cavalli, nè chiameremo più dio nostro l’opera delle nostre mani, poichè presso di te l’orfano trova misericordia”. Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò di vero cuore, poichè la mia ira si è allontanata da loro. (…) Efraim, che ha ancora in comune con gl’idoli? Io l’esaudisco e veglio su di lui; io sono come un cipresso sempre verde, grazie a me si trova frutto. (Osea 13)
Come Amos, Osea vive nel Regno del Nord inebriato dal successo di Geroboamo II che raccoglie l’eredità di Acab. Il clima politico è lugubre: continui colpi di stato e le varie influenze militari creano una situazione instabile: in due secoli vengono liquidate ben cinque dinastie! Fra continui trattati fra le due superpotenze (Egitto a Ovest, Assiria a Est) Israele si comporta come una ingenua colomba priva di intelligenza (7,11). I sovrani durano poco: Zimri sette giorni, Zaccaria sei mesi, Sallum un mese!
I due templi di Betel e Galgala, voluti da Geroboamo I per contrastare Gerusalemme, a seguito dell’influenza di Gezabele sono ormai luoghi di culto pagano e cananeo, con prostituzione sacra…
Osea vive sulla sua pelle il tradimento: si innamora e si sposa con una prostituta sacra che continua a tradirlo e gli da dei figli non amati. La sua travagliata esperienza personale diventa l’icona del rapporto fra Dio sposo e Israele. Il dolore di Osea è il dolore di Dio per il suo popolo traditore. L’ostinazione di Osea a restare fedele alla sua sposa è l’ostinazione di Dio che mai abbandona il suo popolo. Nella sua tormentata esperienza affettiva Osea diventa segno della passione con cui Dio si occupa del suo popolo. Noi, discepoli del Nazareno, dovremmo avere ben chiara la misura dell’amore di Dio per il suo popolo. Stupisce e consola vedere come questo tema, tipicamente evangelico, sia in realtà ben presente in tutto il Primo Testamento. Dio è fedele, ci ama con tenacia e passione, non ci abbandona mai. Anche se noi lo tradiamo egli non ci tradisce, se anche lo rinneghiamo egli però non ci rinnega, perché non può rinnegare se stesso. Siamo tutti inconsciamente convinti di dover “meritare” l’amore di Dio e la salvezza. La Bibbia, invece, ci svela il volto di un Dio che ama senza porre condizioni, che soffre per il rifiuto dell’amata, che aspetta pazientemente la nostra conversione. Osea diventa, allora, icona, segno, sacramento della fedeltà di Dio verso il suo popolo. Oso dire di più e spero di non scandalizzare nessuno. Fatta salva la delicata situazione dei fratelli cristiani che vivono sulla propria pelle una separazione o un nuovo matrimonio, situazione che deve tener conto dell’opinione di Gesù riguardo a questo tema, la pagina di Osea spalanca ai fratelli che vivono sulla propria pelle la contraddizione dell’affettività una speranza inattesa. Nel modo che abbiamo di vivere la fatica affettiva, la separazione, la conflittualità di coppia, il tradimento, possiamo manifestare in qualche modo il pensiero di Dio, diventare segno della sua fedeltà e della sua pazienza. Penso alle coppie che devono affrontare, dopo una separazione, l’educazione di un figlio o ristabilire un rapporto di civile convivenza e di dialogo. Anche i luoghi di sofferenza affettiva sono bisognosi (più bisognosi) di logica evangelica, di pazienza e di perdono, come Osea riesce a vivere. Osea avrebbe voluto avere una vita affettiva normale e serena. Dovrà scontrarsi con il fragile affetto di una moglie che fatica ad abbandonare l’abitudine alla prostituzione. Anche le nostre situazioni faticose e paradossali possono manifestare qualcosa della misericordia di Dio. È poca cosa, lo so, per chi vive il dolore dell’amore. Ma Dio sa trasformare anche il dolore senza senso.
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