Mi trovavo a Gerusalemme, nel quartiere musulmano, vicino alla Porta dei leoni. Era l’ultimo giorno di un pellegrinaggio, il primo da me organizzato, e stavamo per andare al sepolcro. Ero molto stanco ma mi stavo rilassando, vedendo che i pellegrini, amici perlopiu’, erano molto contenti. Mentre compro una bottiglietta d’acqua, lasciando i pellegrini entrare a vedere i resti della fortezza Antonia, il mercante, sorridendo, dice killed Bush!
Rabbrividisco e vedo alla sue spalle un piccolo televisore con le immagini dell’attacco alla prima torre. Raggiungo la guida, il fermento nel suk sta aumentando. Non voglio spaventare nessuno ma alcuni uomini in borghese spuntano dal nulla armati di fucile e accompagnano due spaventati turisti con la kippah. Raduni il gruppo, dico loro, seccamente di non commentare, di stare uniti: voglio andare subito nel quartiere cristiano. Nel suq e’ tutto un cloamore, grida di gioia, gente esagitata che ci parla in inglese. Benedico il fatto di essere italiano. Davanti a noi la guida, decidamente spaventata, io chiudo il gruppo. Si unisce a noi un europeo alto e magro, spaventatissimo, dietro di lui un altro che interrogo con lo sguardo. Noto che impugna una pistola automatica. Police, go, go!. Non mi tranquillizza affatto! Al ritorno a Casa Nova trovo il frate direttore visibilmente scosso: mi dice di avere dovuto richiamare i suoi dipendenti, arabi cristiani, per la manifestazione di gioia che stavano esprimendo. Chiudiamo la giornata nella preghiera, grazie al cielo l’indomani un volo El Al, unica compagnia in volo in Europa, ci riporta in una deserta Malpensa dove alcuni famigliari, turbati, scoppiano a piangere dopo una notte insonne.
Me lo ricordo benne l’11 settembre e il clima di paura che ho vissuto.
Sull’aereo in decollo da Ben Gurion, scortati da un caccia militare, ripensavo alle parole tristemente profetiche di un parroco palestinese che diceva che a Gerusalemme si fara’ la pace nel mondo.
…
Dieci anni dopo un altro prete, Raed, dice ai pellegrini la stessa cosa: non e’ in Iraq o in Afghanistan che si risolvono i conflitti ma a Gerusalemme.
Nei giorni seguenti ho riflettuto molto su quanto quell’evento abbia segnato la nostra storia recente, anche personale. Oggi,a distanza di dieci anni mi chiedo quanto la mia vita concreta possa trarre insegnamento da quegli eventi e da questi anni di guerra.
Almeno una cosa voglio fare: continuare ad associare il nome di Dio alla tolleranza, all’accoglienza, alla pace, dopo che il suo nome e’ stato usato (fintamente) per giustificare la guerra.
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