E Adonai Elohim plasmò ha’adam, polvere (tirata) fuori di ha’damah
E soffiò nelle sue narici un alito di vita
E l’umano (ha’adam) divenne un essere vivente. (Gn 2,7)
Nel secondo capitolo della Genesi un nuovo autore, che chiama Dio Adonai e non più Elohim, ripete il racconto della Creazione con una variante significativa. Pur avendo creato il mondo, gli alberi non portano frutto perché non esiste né acqua né giardiniere per coltivarlo. L’acqua permetterà a Dio di plasmare l’uomo e all’uomo di fare il giardiniere. Vi leggo una circolarità della Creazione: ognuno riveste un ruolo, esiste un profondo legame fra ogni essere vivente. Fermiamoci un attimo al gioco di parole della creazione dell’uomo fra umano e humus (2,7)
L’uomo condivide con i vegetali e gli animali il fatto di provenire dall’humus.
Con gli animali il fatto di essere plasmato.
Ma solo lui viene dalla polvere, segno della morte: ha consapevolezza della sua fine.
Solo lui riceve l’alito di vita, che abbiamo già trovato: è la parola che Dio ha usato (nishmat), nella Creazione, la stessa che l’uomo userà per chiamare (possedere, conoscere) gli animali (2,20). Di nuovo la parola è protagonista: dona vita, fa conoscere.
L’uomo è al vertice della creazione: proviene dalla stessa terra, ma è molto diverso dai vegetali e dagli animali: ha autocoscienza del proprio destino, e partecipa della parola/respiro/soffio/alito che proviene direttamente da Dio.
Dare il nome agli animali significa esercitare il mite dominio su cui abbiamo riflettuto nel posto riguardante la Creazione, Adonai aiuta l’uomo a prendere coscienza del suo ruolo, assume una funzione educativa, didattica, l’uomo, apprendista, impara da Dio a dominare conoscendo, usando la parola, senza violenza.
Ora l’uomo è chiamato a coltivare il giardino (dal verbo “custodire”, un luogo recintato, da proteggere, splendido), più precisamente a lavorare/coltivare (ma lo stesso verbo significa anche “onorare”) e a custodirlo. È un ruolo di sostegno, di supporto, nuovamente un dominio limitato, che mette al centro la relazione, non il potere.
(in realtà i verbi coltivare e custodire sono al femminile. Forse è l’umanità da custodire)
Questa prima, lunga riflessione, ci porta ad approfondire alcuni temi.
La Bibbia (e i cristiani) credono nel rapporto di assoluta reciprocità fra uomo e creato. Esiste un’ecologia biblica che pone il creato al centro ma l’uomo al centro del creato, come giardiniere e custode. Due eccessi vanno evitati: uno sterile ecologismo e un’indifferenza criminale che sta uccidendo il mondo.
Ma, all’interno del creato, esiste una gerarchia di valori. Da questo brano la teologia medioevale autorizza l’uso della caccia per nutrirsi (non per sport!), ma in un complesso regime di reciproca dignità e rispetto. La Bibbia è lontana dal panteismo (dio è contenuto in ogni vivente) ma vuole ricondurre all’origine la scintilla di vita presente in ogni vivente.
Il credente è, perciò, un ecologista globale.
Il rapporto con il Creato (da frate Francesco in avanti), ci permette di scrutare l’impronta di Dio. Nel Creato l’uomo è interrogato con forza sulla sua natura e il suo destino.
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