Sto aspettando in una sala nel seminterrato di un grande ospedale torinese, nel reparto di radiologia. E’ uno dei pochi che possiede un apparecchio per la risonanza magnetica a cielo aperto, evitando il senso di claustrofobia che, invece può colpire chi utilizza l’apparecchio tradizionale. Per questa ragione, immagino, la sala d’aspetto è piena di bambini con i loro genitori, e molti ragazzi presentano evidenti problemi neurologici ed handicap. Sono attento a quello che succede intorno a me, c’è un clima disteso, tutto sommato, grazie all’abilità dell’infermiera che accoglie, evidentemente abituata a questo genere di pazienti e, soprattutto, colma di una tenerezza e di un’attenzione che raramente ho visto in questo ambiente. E’ un donnone con un ampio sorriso, va incontro a tutti i pazienti, da’ consigli rassicura, entra ed esce da un ufficio gonfiando i guanti monouso e facendoli diventare dei buffi palloncini. Sul fondo della sala (incredibile!) un televisore trasmette cartoni animati che attirano l’attenzione di qualche bambino. Taccio, guardando e sorridendo, cercando di dare anch’io il mio piccolo contributo di affetto all’ambiente. Esce un medico e chiama una ragazza per nome, il padre l’accompagna. Il dottore le sorride e l’accarezza sulla testa per tranquillizzarla. Sono scosso, ora, vedo i volti dei genitori, sorrisi che nascondono anni di sofferenza, che rassicurano i loro ragazzi nel mistero assurdo del dolore dell’innocente. Come padre, sento fortissimo il loro disagio e la loro intima rabbia, la preoccupazione per il proprio figlio, per il suo futuro. Li vedo, questi genitori, mentre accarezzano il capo dei loro ragazzi, alcuni agitati dall’ambiente e dall’esame da affrontare. Il dolore dell’innocente. Eccolo. In tutta la sua drammatica inutilità, in tutta la sua sconcertante forza. Sono turbato, ora. A fine estate dovrò, infine, mettere mano ad un libro che l’editore mi chiede da anni, proprio sul dolore e che cerco di rimandare all’infinito. Eppure, proprio perché credente, devo condividere qualche idea, senza l’assurda pretesa di dare soluzioni o risposte che la Bibbia evita accuratamente di dare. Sì, si respira molto dolore in questa stanza. Troppo.Piango, ora, con discrezione, pensando a come Gesù si sentiva davanti al dolore. E vedo il gesto di una padre della mia età, vestito elegantemente, forse un funzionario, che tiene sulle ginocchia sua figlia, adolescente, lo sguardo perso nel vuoto, tutta chiusa nel proprio mondo interiore. Lo vedo mentre la rassicura e cerca di farla sorridere. No, non conta il proprio dolore, ora, conta la paura della propria bambina. Nessuno ha un amore più grande… Arriva l’infermiera con uno dei suoi improbabili palloncini. La ragazza la guarda, stupita, e scoppia in una fragorosa risata che attira l’attenzione di tutti. No, non abbiamo risposte al dolore innocente, abbiamo solo la compassione. Nostra, e di Dio per noi.
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