“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me (…) Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo (…) Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”. Es 20
Per ben tre volte, all’interno del libro del Pentateuco (Dt 5,6-21, Es 24,3 ss), troviamo il racconto della consegna delle tavole della legge, tavole su cui sono scolpite le dieci parole che il Dio che ora ha un nome – Io sono colui che è presente – dona al popolo liberato dalla schiavitù. E’ difficile parlare di peccato ai nostri tempi: un lungo passato in cui si è rischiato di mettere la trasgressione e la disobbedienza al centro della predicazione della Chiesa ha ottenuto, come risultato, una reazione di chi minimizza o nega del tutto il peccato. Come sempre siamo chiamati ad evitare due eccessi: l’eccessiva rilevanza del peccato nella vita del credente o la sua ingenua rimozione falsano l’approccio alle verità profonda delle cose. Nella Bibbia la parola “peccato” significa primariamente “fallire il bersaglio”, come chi scocca la freccia sbagliando clamorosamente il centro. Dio ci ha creati, sa come funzioniamo, sa cosa veramente di rende felici e noi, invece di fidarci di Lui, decidiamo di testa nostra cosa è la felicità. Il male, nella Bibbia, non è trasgredire ad un ordine, ma agire allontanandosi dal proprio bene. Ovviamente in gioco c’è sempre la nostra libertà: il peccato si presenta sempre come un ipotetico bene, si maschera sempre da cosa positiva per poterci ingannare: nessuno di noi berrebbe da un bicchiere con l’etichetta “veleno”! Il peccato è male non perché l’ha deciso Dio, ma perché ci fa del male e Dio, che lo sa, ci invita a seguire i suoi consigli. L’umanità, ahimè, si comporta come un eterno adolescente che guarda sospettoso chi impone delle regole e i risultati si vedono. Oggi ci siamo finalmente liberati dall’opprimente morale cattolica: tutto sommato ognuno gestisce la propria vita privata senza grosse interferenze. Non mi pare che questa ipotetica “liberazione” abbia prodotto maggiore serenità e gioia… La dicitura originale della pagina in esame parla di “parole”, parole che Dio dona al suo popolo, cartelli indicatori che mostrano il sentiero verso la pienezza. Se decidiamo di ignorarle e di fare di testa nostra, affari nostri, Dio ammonisce che non riuscirà ad intervenire se ci allontaniamo dal percorso che egli ci indica. La Parola ci restituisce un Dio adulto che ci tratta da adulti, che collabora al nostro bene. Il peccato più che essere un’offesa a Dio è un’offesa alla splendida idea che egli ha di noi: siamo chiamati ad essere delle aquile e ci accontentiamo di razzolare in un pollaio… Rileggendo le dieci parole non possiamo. a partire dalle nostre esperienze di vita, che condividere quanto indicato dai consigli di Dio: mettere Dio al centro della vita senza idolatrare noi stessi o i tanti idoli della contemporaneità, non tirare in ballo Dio invano, manipolandolo, coltivare la dimensione della festa e della gratuità, coltivare l’onore e il rispetto nei rapporti famigliari, scegliere di essere pacifisti e pacificatori, di escludere la violenza, mirare ad una sessualità adulta e matura, evitare di rubare e conservare la dignità, essere autentici nel porci agli altri, non confrontarci con le altre persone perché pezzi unici, sono anche, umanamente, percorsi che ci possono portare ad una serenità di fondo e ad una saggezza di vita feconda.
Tu ti occupi della nostra felicità, Io-sono-con-voi, e ci doni parole per la vita concreta, sentieri che ci portano alla pienezza. Insieme al popolo dell’Alleanza anche noi lodiamo la tua saggezza, Dio di Israele!
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