La situazione di Levi era pesante: era un pubblicano. Cioé: collaborazionista con l’invasore romano da cui appaltava le tasse, ladro perché faceva la cresta sulla riscossione dei tributi e idolatra perché maneggiava denaro con l’effige dell’Imperatore. Era perciò un peccatore pubblico, non lo si poteva avvicinare senza contrarre l’impurità legale che impediva la partecipazione al culto di Israele. Levi era quindi una persona decisa, disposta a tutto, temuto e odiato dai suoi concittadini. Insomma: l’ultimo a cui un Profeta si sarebbe indirizzato. E invece proprio lui viene chiamato. Non è stupefacente? Dio, al solito, ci spiazza, ci mette KO.
Levi viene chiamato e si alza subito. Talmente inatteso è l’arrivo di Gesù, talmente inaudito, che non riesce a capacitarsene. Eppure proprio lui viene chiamato, lui il peccatore, lui l’evitato, lui il temuto. Che idea aveva Matteo di sé? Non lo sappiamo, ma lo possiamo intuire dalla sua reazione che è simile ad una pentola a vapore che esplode: Matteo molla tutto e dà una festa straordinaria. Quanta rabbia, quanta sofferenza aveva Matteo nel cuore! Ed è bastata una semplice scossa perché tutto crollasse come un cartello di carte. Lo sguardo di Gesù ha aperto la diga del suo cuore.Sapete, amici? La nostra fragilità, il nostro peccato non sono sufficienti a tagliarci fuori, non bastano a scoraggiare Dio. Avete l’impressione di non essere degni? Di non essere capaci? A Dio non importa. Dio non ci ama perché siamo buoni ma amandoci ci rende buoni. Di che abbiamo paura? Di essere malati dentro? Guai se ci sentissimo a posto: non avremmo nel cuore quell’arsura che ci permette di essere continuamente alla ricerca di Dio. L’ostacolo del nostro peccato, della nostra fragilità è nulla rispetto alla straordinaria bontà di Dio. Nulla, capite? Ma il sentirsi imperdonabili, sentirsi inutili, incapaci, questo sì ci può allontanare dalla grazia, talmente ripiegati su noi stessi da non accorgerci di essere, da subito, amati.
Capiamo allora la festa di Matteo. E capiamo lo scandalo dei benpensanti, allora come oggi. Questo Gesù che accoglie tutti e che di tutti riesce a far emergere la verità interiore, è scomodo, a tutt’oggi. Non vi é mai successo di criticare in cuor vostro la presenza a Messa di una persona di cui conoscete la vita non proprio evangelica? A me sì. E non mi accorgevo, in quello stesso momento, di passare dalla parte di chi si crede giusto e, tragicamente, non sente il bisogno di Dio. Il secondo ostacolo da cui preghiamo il Signore di liberarci è quello del giudizio benpensante, di chi si mette sempre un gradino più su e vuole insegnare a Dio cosa deve fare per comportarsi bene…
E questa considerazione mi permette di anticipare qui la riflessione sulla chiesa. la chiesa, amici, è la comunità di quelli che, come Levi, hanno incontrato lo sguardo gonfio di tenerezza del Cristo e si sono lasciati riconciliare. Non é perciò la comunità dei perfetti, di quelli che non sbagliano, come alle volte alcuni (specie non credenti) vorrebbero. Non c’é nulla di più alieno al cristianesimo di una asettica perfezione. No! La chiesa è un popolo di perdonati, non di giusti! E perciò, proprio perché perdonati, la chiesa accoglie chi nel suo cuore riconosce di essere amato e perdonato e perciò fa festa.
Vedete, in conclusione, come gli ostacoli al vangelo, in questo brano di Levi, siano sostanzialmente tre: la disistima di sé, il sentirsi imperdonabili, il peccato e il giudizio. Verifichiamo allora il nostro atteggiamento e, se avete ancora voglia, andiamo avanti nella riflessione…
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