Colloquio con un amico turista, due giorni fa: “faccio l’educatore scouts e in Co.Ca. (Riunione dei capi scouts – n.d.r.) dibattiamo spesso sul ruolo della fede nel nostro servizio. Siamo onesti: finché si gioca va bene, ma i capi (gente di 22/25 anni) storcono il naso alla sola idea di mettersi a pregare. Io sono a disagio: vedo l’obiettivo (la preghiera come incontro con Dio) ma non il percorso… “
Rispondo che anch’io vivo la sua stessa esperienza quando cerco con gli educatori del mio oratorio di affrontare il tema educazione alla fede. Dire il vangelo oggi e viverlo da persona adulta è possibile, claro, ma bisogna inventare un modo nuovo riciclando e ripigliando l’essenziale. Prendo – ad esempio – la preghiera. Conosco un sacco di giovani e di adulti che sentono l’esigenza di parlare a Dio, ma non sanno come. Il breviario?Fantastico, ma difficile e impegnativo. Le preghiere tradizionali? Magnifiche, ma ti lasciano la bocca asciutta. Allora? Non so voi, amici, ma incontro tante, tantissime persone che sentono, sul serio, il richiamo di Dio. Tutto ciò che dobbiamo fare è prendere questo tempo come una bella opportunità, come un dono strepitoso, come un’occasione unica che ci è data. Non lo so com’era una volta, mi spiace. Non ho visto le chiese piene e le processioni osannanti. Ho conosciuto il Maestro Gesù quando già nelle nostre montagne i giovani se n’erano andati e le famiglie si frantumavano con un inquietante e delirante suicidio affettivo. E da lì dobbiamo partire, dall’essenziale.
Da dove, mi chiederete. Insomma: cosa significa essere cristiani oggi? Significa ciò che significava ieri e duemila anni fa: incontrare Gesù di Nazareth che ci svela il vero volto di Dio e dell’uomo. Essere cristiani significa appartenere a Cristo, restarne avvinti, invischiati, affabulati, convertiti. Cercarlo come si cerca l’acqua nel deserto, con ostinazione e forza, trovarlo e lasciarsi amare e diventare discepoli. Tutto lì.
Delusi? Avete ragione, ma questo non è più chiaro. Non è chiaro che il cristianesimo parli di Dio, che dietro le nostre pur doverose strutture esiste una sostanza, che abbiamo un tesoro da mostrare, una buona notizia da dare. Nella famosa casella di posta intasata che mi tiene in contatto col mondo ricevo questa lettera scritta da una conoscente che vive in Centro America. La cito perché non leggerà mai queste parole, perché ci ho un po’ pianto e perché è esattamente ciò che pensa un sacco di gente (triste):
“Ciao Paolo, ho appena finito di leggere la predica domenicale, come faccio ormai tutte le domeniche, un po’ furtivamente…ho una solida reputazione di mangiapreti da difendere, un marito ateo…Ho letto anche le altre prediche, assetata di verità e scritte per me. E tu che mi parli di un Dio timido, sofferente, oltraggiato, un Dio che sta con gli stessi piccoli, gli stessi senza voce con cui vivo io… Sarà che questo Dio, inteso anche come necessità filosofica, è davvero quella famosa risposta che io dico di non cercare? Sarà che è d’accordo con me e con Salvador Allende, che ha detto “la Storia è nostra e la fanno i popoli”? (magari siamo noi ad essere d’accordo con lui, piuttosto). Sarà che ho lasciato perdere troppo presto, schifata nel mio orgoglio intellettuale, da quella maestra di catechismo che mi ha mandato fuori varie volte dall’aula perchè sostenevo che l’uomo discende dalla scimmia (l’avevo letto, volevo sapere)? Sarà che questo Dio, che mi riesce finalmente simpatico, vuole finalmente farsi riconoscere? Sarà che si può davvero trovare, questo Dio, fuori dalle cattedrali e prescindendo da assurdi individui che si dicono sacerdoti, la cui principale occupazione è quella di terrorizzare i fedeli minacciandoli con le peggiori ritorsioni se alzano la testa e vogliono riprendersi la loro dignità come esseri umani? Sarà che lo posso cercare a modo mio, chiacchierarci come si fa con un amico caro, senza sottomettermi all’umiliante processo di sentirmi dire che ho sempre sbagliato tutto e che devo pentirmi di tremendi peccati, che devo smetterla di pensare se voglio credere? Sarà che posso cercarlo con la ragione, e non mettendo a tacere la ragione? Sarà?”
Sì, sarà così. Abbiamo un Dio talmente bello da svelare, un Dio talmente splendido da far conoscere, perché non ci riusciamo? Partiamo dall’essenziale, allora, lasciamoci amare e amiamo, diciamolo questo timido Dio che si consegna alle nostre fragilità, diventiamo – un poco almeno – trasparenza e non ostacolo, leggiamo – infine – il Mistero che si sta svelando!
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