Bruno è cordiale e solare. Ha una cinquantina d’anni, ci siamo conosciuti viaggiando in treno, ogni mercoledì alla stessa ora. Lavora come consulente in una grande azienda, è una persona vivace, intelligente, il compagno ideale per i lunghi viaggi in treno. Proprio oggi è accaduto, prima o poi doveva succedere. Sale e mi trova mentre leggo un libro palesemente a tematica religiosa. Fa una smorfia di disapprovazione e una battutaccia. Poi, quando vede che non reagisco e non lo aggredisco, inizia a parlare seriamente di sé e della sua fede. Prima con prudenza, poi parla come un fiume in piena. «No, io non ci riesco a credere, anche se ci ho provato. Io sono sempre stato come colui che invece di accendere una piccola luce imprecava contro le tenebre. Ho invocato e implorato Dio fino a consumarmi. E Dio? Se c’è stato, l’ho visto poco. Eppure ancora oggi lo invoco, lo cerco, lo imploro. Le mie labbra spesso sono chiuse. Ma il mio cuore lo cerca senza sosta. E ormai ho compreso che solo Dio può spegnere il desiderio di Dio. Già, Dio… se lo vedessi! Se lo sentissi! Probabilmente, non c’è un solo modo di avvicinarsi a Dio, a questo mistero impenetrabile. Io sto scoprendo pian piano il mio. Come spesso mi accade ho confuso per tanti e tanti anni il punto di arrivo con quello di partenza: credere in Dio. Ho sempre pensato che bisogna credere in Dio per avere fede, per essere dei buoni cristiani, per essere salvi!». Ha parlato tutto di un fiato, mi ha sempre guardato negli occhi, mentre parlava. Sorrido. Quanto desiderio di Dio colgo nelle sue parole, quanta verità, quanta ironia! Mi stupisco di quanto bene faccia il Signore e quanti scherzi ci tiri facendo diventare luogo di evangelizzazione un treno di pendolari. Parliamo di Dio come se fossimo in una chiesa, senza preoccuparci degli altri che leggono il giornale e ci guardano incuriositi. Provo a dire qualcosa: «Dio è il grande assente della Storia, il Godot che l’uomo aspetta distrattamente. È vero: il tempo in cui viviamo non ci aiuta a vivere con interiorità la nostra vita, manchiamo di punti di riferimento, avendone troppi che pretendono di esserlo. Credo che la comunità cristiana, noi Chiesa, viviamo sulla nostra pelle la confusione di questi tempi: fatichiamo a dire l’essenziale. Il nostro linguaggio è frusto, usurato, confuso con le mille seducenti parole della parte scura del mondo. Non dobbiamo correre dietro alla logica mondana, ma tornare all’essenziale, a dire Dio al mondo d’oggi che crede di sapere tutto di Lui. La Chiesa esiste proprio per dire Dio, per viverlo, per pubblicizzarlo. Che ingrato compito ci è affidato, che fatica immane! Che folle, il nostro Dio, che ha pensato di consegnarsi nelle mani di discepoli scostanti e fragili! Eppure così accade, così crediamo, così sperimentiamo. Dio è il grande assente della nostra modernità. Per nostra distrazione, certo. Ma anche per sua scelta». Bruno ascolta con attenzione. Probabilmente lui per primo sperimenta la fatica di trovare, in un paese cattolico zeppo di chiese e di campanili, qualcuno che parli di Dio in modo semplice e diretto. Seguo i miei pensieri, parlo della positività dell’assenza di Dio: «Sono sempre rimasto affascinato da una teoria caballistica del Settecento. Alcuni rabbini si sono chiesti come Dio abbia potuto creare l’universo, visto che occupava ogni spazio. La risposta fa sorridere ed è geniale: Dio, per creare l’universo, si è ritratto, si è rimpicciolito, ha tirato in dentro la pancia. Così che l’universo occupa lo spazio dell’assenza di Dio, l’universo è Dio che, per poterci far esistere, ha deciso di assentarsi. L’assenza di Dio ne svela la sua presenza, suscita la sua nostalgia, ne indica il passaggio. Dobbiamo rassegnarci a questa evidente assenza, arrenderci al fatto che l’uomo barcolla cercando un senso, e che è chiamato a seguire le tracce e a fidarsi». Bruno sorride: l’assenza non è solo una cosa negativa. «Di più: per me, cattolico, l’assenza di Dio è segno della sua volontà salvifica, del suo rispetto, del suo amore. L’autonomia in cui viviamo, la libertà che ci è donata, talora insostenibile, dimostra l’amore di Dio che sta dietro le quinte, che non è evidente per lasciarci la libertà di cercarlo. Il desiderio che provi, la nostalgia assoluta che sperimenti, Bruno, sono lo strumento che hai per fare spazio nel tuo cuore, e avvicinarlo a Dio. Gesù, lo sappiamo, è venuto a parlarci del Padre, a raccontarci come è fatto Dio, chi è veramente. Se cerchi Dio, Bruno, segui il Nazareno. Leggi i Vangeli, fatti aiutare, se necessario, elimina tutte le idee confuse che porti nel cuore. Guarda se è ragionevole credere nelle sue parole, se sono le parole di un illuso, di un pazzo scatenato. O la verità su Dio». Bruno ha capito. Il suo desiderio è già una presenza, la sua fatica è già un riposo, il suo dubbio è un segno dell’attenzione che Dio gli riserva. Concludo: «Stai cercando colui che ti cerca, stai inseguendo colui che ti insegue. Devi solo imparare le regole del gioco, arrenderti, liberare il tuo cuore da tutte le sovrastrutture che la tua esperienza e la tua educazione hanno affastellato. Lasciati trovare. E più lo troverai, più lo conoscerai, più ti mancherà, più ne vorrai, più ne avrai nostalgia. Alcuni mistici medioevali parlano della nube della non conoscenza, la cosiddetta teologia apofatica: quando ci avviciniamo a Dio scopriamo che è molto di più ciò che non riusciamo a capire e a dire che il poco che riusciamo a balbettare. Ma questo, mi auguro, lo scoprirai da te». Il treno arriva in stazione. Dico le ultime parole mentre mi infilo il cappotto e lui recupera la sua borsa da lavoro. Bruno sorride, senza avere risposte. Ma abbiamo entrambi ricevuto la manna che possiamo raccogliere giorno per giorno, per smettere di tenere in mano la nostra storia e affidarla a Colui che ci cerca.
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