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In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola: 
«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 
Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione». 

Oggi la Chiesa celebra la Solennità del Sacro Cuore di Gesù, una festa di origine devozionale che, però, rimanda all’essenziale della fede: l’amore di Cristo per l’umanità.

La fede è questione di cuore. Di affetto, di slancio, di emozioni, di profonde scoperte, di radicali scoperte. La fede è questione di incontri e di profondità, non di apparenza, non di superficie, non di pelle. La fede è esperienza travolgente e se così non è stata, lo può e lo deve diventare. La fede è passione e slancio. Tutto questo si nasconde dietro questa festa di origine devozionale. Quando Gesù apparve nella preghiera a suor Maria Margherita a Paray-le-Monial, nella devota e pia Francia del XVIII secolo, era per ricordare a lei e a noi che quando parliamo di lui e di Dio stiamo parlando di un cuore divorato dalla passione. Non di paura, di punizioni, di bronci divini (speravamo, sinceramente, di non doverne più sentir parlare). E nemmeno di insignificanza, di fede come evento culturale, un’acqua cheta inutile e insapore. Ma di un fuoco divorante. Questa festa infrasettimanale, da sempre legata al sacerdozio e ai sacerdoti, risveglia in noi la passione troppe volte assopita. Se siamo credenti, se siamo cristiani, se siamo preti, se siamo catechisti, allora lasciamoci ancora travolgere da questo fuoco ardente che è l’amore di Dio.

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