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U parrinu non ci ha portato rispetto, non ci ha chiesto niente, se avesse voluto aiuto per i poveri lo avremmo aiutato, ma lui faceva di testa sua, voleva diventare lui il punto di riferimento del quartiere.

Questo il senso delle parole intercettate in carcere sulle labbra di Totò Riina a vent’anni dalla morte di Padre Pino Puglisi, parroco a Brancaccio, quartiere di Palermo in cui era nato.

Non era un prete antimafia, non faceva nessuna lotta contro qualcuno.

Annunciava il Vangelo, semplicemente.

Quel Vangelo che non si accontenta di restare barricato nelle anguste sacrestie ma che ribalta la vita, la illumina, la rende più autentica, aiuta l’uomo a specchiarsi in Dio ritrovandosi uomo.

Smettendola, ad esempio, di affidarsi agli altri, di chiedere, di elemosinare ciò che gli spetta. Un favore, una raccomandazione, un lavoro, un aiuto. Una mentalità mafiosa che concepisce la vita come una continua richiesta di favori.

Che a elargire i favori sia Dio o il parroco o il mafioso poco importa.

Ecco, padre Pino, da buon parroco, voleva solo fare il parroco, ridare dignità, evitare compromessi, manipolazioni. Non chiedeva favori, né li concedeva. Solo la franchezza evangelica che fa intravedere alla gente che non c’è bisogno di elemosinare, ma di diventare adulti. Nella fede e nella vita.

In questi venticinque anni dalla morte, freddato il giorno del suo compleanno, la sua storia ha fatto breccia nella mentalità mafiosa.

No, la mafia non è una cosa buona e i mafiosi non sono delle persone potenti buone. 

No, quando iniziò la guerra di mafia, una vera guerra, ci furono 900 morti, non era solo una cosa fra mafiosi. E nemmeno fra mafiosi e sbirri. E nemmeno fra mafiosi e preti imprudenti. La mafia non ha un codice. Oltre cento bambini sono stati uccisi, E donne incinte. Quando cominciarono a esplodere le bombe e colpire i cittadini che si giravano dall’altra parte per non vedere qualcosa cominciò a cambiare.

Molto è ancora da fare, ci dice don Maurizio, successore di padre Pino Puglisi.

La mentalità mafiosa ancora domina la società, non solo a Palermo, aggiungo io.

I favori da chiedere per saltare una lista d’attesa, l’aiuto del conoscente, la giustificazione dei nostri piccoli atti di ingiustizia quotidiani ne fanno parte.

Padre Pino è stato ucciso perché annunciava il Vangelo. Ucciso da battezzati devoti che pensavano alla fede in un altro modo. E non in odio alla fede, apparentemente.

E invece proprio l’insostenibilità di una vita cambiata dal Vangelo e la pericolosità di un messaggio pro qualcosa e non anti qualcuno ne decretò la morte. Morto in odio al Vangelo. Martire. 

Il giorno della sua beatificazione, nel 2013, quando gli organizzatori videro arrivare centomila persone da tutta Italia invece delle mille previste inizialmente da accogliere in Duomo, tutti si resero conto che il chicco di frumento caduto in terra e morto stava portando frutto. Perché come diceva 3P (Padre Pino Puglisi) «Se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto».

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