Non c’è molta gente in questo sabato mattina. Sono abituato a treni e aerei decisamente affollati. E a tratti di autostrada traboccanti di auto e di camion. Oggi no, poche persone assonnate riempiono pochi, sporadici sedili.
Il barista mi prepara un caffè mentre un bimbo in braccio al papà aspetta un pezzo di cornetto protestando nel suo linguaggio criptico di suoni per la poca solerzia.
Uscendo dalla stazione il sole accarezza il Vesuvio. Ieri sera, con l’amico Gaspare, dall’alto di Posillipo il golfo di Pozzuoli ha regalato un tramonto da standing ovation, come ad accarezzare il cuore dei ragazzi feriti e violenti del carcere minorile di Nisida, il carcere più bello del mondo.
Destinazione Trieste, un altro golfo, altra inflessione dialettale, un pezzo di Mittleuropa affacciato sull’Adriatico. E domani Como e la vicina Svizzera.
Rivedo le persone incontrate. Quelli ormai diventati amici. Quelli delle “facce da Curtaz” e del “Paolocurtazvaffanclub” come dico scherzando. Quelli che dopo la conferenza ci tengono a venirti a salutare, o abbracciare, o a fare il selfie. Quelli che sono venuti per la prima volta trascinati dalla vicina. Quelli che “La vedo ogni domenica in video”. In fila come dal salumiere. Poche battute, un sorriso, a volte un’energia potente che mi raggiunge da un abbraccio, una stretta di mano. Gratitudine, emozione, sincera stima.
Mi fa piacere, ovvio, ma declino ogni responsabilità.
Sono solo un altoparlante, un’antenna che raccoglie e trasmette, un mendicante che condivide l’elemosina con altri mendicanti.
Ora sono in viaggio.
Come i ragazzi delle superiori incontrati ieri, volti assonnati da prima ora, sguardi straniti di chi si chiede cosa faccia un teologo, e poi quelle storie di persone vissute migliaia di anni fa, un Abramo sconosciuto, che smuovono qualche sguardo, pizzicano qualche coscienza in evoluzione.
Come i tanti che qui e ora, cercano, scrutano, si interrogano, si muovono.
Un popolo di irrequieti cercatori di senso e di felicità.
In viaggio.
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