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«A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui».

Tutto «nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito». Il ragazzo di origini ebraiche che si avvicinò alla fede «si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire». 

«Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni. Amiamo la Chiesa e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità».  

«(La mia presenza) Vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al vescovo scrisse: “Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…”».  

Dal cardinale Silvano Piovanelli, «di cara memoria, in poi gli arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa».

(Come ha scritto la madre di don Milani:) «Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità». 

Ecco, questo ha detto Francesco a Barbiana.

Cose che porto nel cuore da quando, giovane studente, mi ero appassionato alla figura gigantesca e contraddittoria, eroica e fragile, di quel prete spigoloso travolto da Cristo e disprezzato dagli uomini (di Chiesa). E che oggi Francesco presenta al mondo con semplicità.

Lorenzo aveva sperato, per amore alla Chiesa, che il Vescovo di allora, sostenendolo, facesse vedere ai suoi pochi parrocchiani, ai suoi poveri, che non agiva da solo, ma inviato e per conto della Chiesa. Non un prete bizzarro da mandare all’esilio, ma un profeta, scomodo e rude, certo, ma pur sempre profeta. Non ottenne quella visita. Nemmeno al suo funerale (cosa inaudita, ieri come oggi).

Tardivamente un Papa è salito a Barbiana a riparare quel torto.

Io ho pianto calde lacrime di amore a Dio, a Lorenzo, alla Chiesa.

Don Lorenzo, da lassù, avrà sorriso mandando tutti a quel paese.

 

1 Comment

  • Giusi, 24 Giugno 2017 @ 12:57 Reply

    Anch’io ho pianto, ricordando la bellezza di don Primo Mazzolari (“cristiani, ricordatevi, quando entrate in chiesa vi togliete il cappello non la testa”…) e di don Milani, grandissimo e limpido, appunto come un diamante … “Nessuno è profeta in patria” , ci è stato detto, ed è sempre difficile accettare questa consegna quando poi succedono le epurazioni, le interdizioni, gli allontanamenti. I loro libri erano proibiti, i loro modi osteggiati. Era bello però vedere nella semplicità della campagna, padana e toscana, la figura bianca del Papa risarcire con tenerezza, indicare una strada vera in quei modi, anche per se stesso e la Chiesa. Mentre Francesco parlava colpiva alle sue spalle, nel verde, la semplice piscina azzurra dove i ragazzi della scuola di Barbiana facevano i loro tuffi, imparando con amore le cose della letteratura. E del mondo. Un conforto per tutti coloro che ancora provano a insegnare, che commentano, che parlano agli altri. Perché occorre vedere ancora – e prima -il buono e il bello. Dentro la fatica, le crisi di ogni giorno. Perché la strada buona poi si vede sempre, perché basta anche un grammo di luce per vincere chili di buio.

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