Il clima è gradevole, come raramente capita a Milano.
Una splendida giornata di maggio con il sole non troppo caldo e una brezza che sembra mitigare la cappa di smog che attanaglia la città sempre in movimento. Fra una conferenza e un’altra, prima di spostarmi in Veneto, ho un appuntamento in città durante la pausa pranzo.
Ne approfitto per fare due passi in centro, godendomi la luce primaverile. Voglio andare a salutare san Carlo e mi metto in fila nella porta di sinistra del Duomo; quella di destra è dedicata ai turisti e la fila si snoda per decine di metri. A pregare c’è decisamente meno gente!
Manco da qualche tempo, noto qualche cambiamento, ma poco importa. Mi fermo a pregare Maria, poi sono attirato da un cartello: “Sepolcro del Card. Martini”. Già vero. Seguo le indicazioni ma non lo individuo. Chiedo a uno dei custodi, mi accompagna.
Ovvio: ai piedi del crocefisso, sepolto in terra.
Un lapide a filo terreno, ben inserita nel contesto.
Carlo Maria Martini.
Posizionate di fronte delle panche, ai lati la possibilità di accendere un cero.
La gente può sostare davanti alla croce. E, ai suoi piedi, salutare uno dei vescovi che maggiormente ha segnato questa Chiesa ambrosiana. E la Chiesa.
Io sono uno di quelli cresciuto meditando le sue parole. Ogni suo libro, ogni sua meditazione, ogni sua conferenza pazientemente trascritta. Ho bevuto Parola dalle sue parole. E lungimiranza. E affetto. E autorevolezza. Una volta sola ebbi l’occasione di stargli accanto, a Parigi, durante una celebrazione. Appena entrato nel palazzetto dello sport di Roissy ventimila giovani tacquero. Sembrava uno dei padri della Chiesa. Un grande strumento nella mani di Dio. Un grande cercatore. Autorevole e pacato. Possente.
Mi commuovo, ora. Lo ringrazio. Ringrazio anche per come ha saputo affrontare la sua malattia e la sua disarmante franchezza fino all’ultimo.
“Ha paura di morire?” gli chiesero.
“Certo. Ma mi sembra che sia davvero l’ultima occasione per capire se credo per davvero”, rispose.
Un distinto uomo d’affari in completo scuro entra, sosta in piedi, accende un lumino.
Poi si inginocchia e accarezza la lapide di marmo.
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