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In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Gv 13,1-15

Inizia con la cena l’ultima notte di Gesù. Una cena pasquale celebrata secondo il calendario antico, contrapposto a quello del rinato tempio, quasi a segnare una presa di distanza. E stasera, in tutte le nostre chiese, ripeteremo quella cena in obbedienza all’ordine del Maestro di rifare quel gesto in sua memoria. E noi lo rifacciamo, giorno per giorno, a volte senza pensarci, distrattamente, ma consapevoli dell’immenso dono che ci è stato donato. Sì, Signore, ripetiamo quella cena ogni domenica e quell’incontro ci rende discepoli. In questa notte quel gesto assume un significato particolare: è espressione del grande amore che Dio ha per noi, ed è anche l’inizio del sacerdozio. Riviviamo con intensità e verità quella cena, lasciamo che sia ancora il Signore il protagonista, non rendiamo vano quel gesto. Nel cuore della notte, poi, seguiamo Gesù al Getsemani, sediamoci poco lontano e osserviamo il Maestro che decide di andare fino in fondo. Facciamo compagnia al Signore, questa notte, raccogliamoci in preghiera per un quarto d’ora, per dirgli che quel sacrificio non è stato inutile. Davanti a quella croce, noi ancora professiamo la nostra fede nel vero volto di Dio.

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