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Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».

Gesù è offerto al Padre, è donato da subito e quel gesto si ripeterà infinite volte nella sua luminosa vita. Gesù è e resta dono, diventa dono al Padre che ne fa dono all’umanità.
E in questa logica del dono, oggi, desideriamo fortemente fare della nostra piccola vita un’offerta a Dio. Da lui l’abbiamo ricevuta, a lui vogliamo donarla: ciò che siamo sia utile alla realizzazione del Regno, ci aiuti a fare di ogni gesto, di ogni giorno, un atto consapevole di amore verso Dio e il suo progetto di salvezza…
Gesù stesso si comporterà allo stesso modo, senza rigettare le prescrizioni rituali, senza porsi al di sopra della tradizione religiosa del suo popolo, senza fare l’anarchico ma vivendo con autenticità e verità le norme della Torah.
Il gesto di andare al tempio ci incoraggia a vivere la nostra fede attraverso i sicuri sentieri della tradizione, ripercorrendo l’esperienza che ha coagulato l’esperienza dei discepoli attorno a momenti ben precisi, celebrando nella vita la presenza del Signore anche attraverso segni ben concreti, come i Sacramenti.
Troppe volte chi cerca di vivere con maggiore intensità e verità la fede si sente “migliore” di chi, invece, la vive senza grande coinvolgimento. La tentazione, però, è quella di costruirsi una fede che guarda dall’alto le devozioni, le tradizioni, i percorsi abituali della santità.
Non dobbiamo ignorarli od evitarli, ci suggeriscono Maria e Giuseppe, ma riempirli di verità.

1 Comment

  • chiara, 2 Febbraio 2017 @ 12:28 Reply

    Riempire il rito di verità. Grazie Paolo di questa sobrietà, che non esclude nulla, perché è nostro diritto di creature dire che tutto ci appartiene vero? sia la forma, che esiste, e non si può negare, a prezzo di essere superbi, o anarchici, o idealisti; sia la sostanza, ciò che nutre. Delle cose del mondo, se tutto è umano e ci tocca, però da niente dovremo dipendere o farci possedere. Perciò oggi ci si presenta al Tempio. Oggi ci si distacca da quello che è nostro e magari stava diventando troppo importante nel cuore. Durissima, la prova di fare vero dono di sé, senza finzioni o maschere, andando a portare al Signore con umiltà sincera proprio quel giocattolo che sembra dare senso a tutte le giornate. Anna porta Samuele fanciullo, suo figlio tanto atteso, al tempio e se ne separa. Maria e Giuseppe portano Gesù davanti alla legge vivendo dall’inizio, e in anticipo, la “spada che trafigge il cuore” di sapere che non appartiene loro e che è venuto per una missione anche dolorosa. Oggi i religiosi rinnovano i loro voti di povertà, castità e obbedienza. Oggi nella mia città il cielo è grigio. Signore fai sacri i nostri doni.

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