Sono in coda al seggio. Prima volta che mi capita di fare coda, se devo essere onesto.
Bene, significa che la gente ci tiene, che vuole esprimere un suo parere. E’ una delle cose più belle della democrazia che, per quanto limitata, sa esprimere la forza della partecipazione.
Sono nel paese in cui sono nato e cresciuto, si parla tutti in dialetto. Una signora dice di avere visto un mio libro in vetrina, mi dice che lo comprerà. Sorrido, l’ego cresce di buon mattino. Dietro un signore che non conosco comincia ad inveire contro i politici. Solita tiritera, nemmeno tanto originale. Non commento anche perché so che è uno dei più impegnati propagandisti quando si deve eleggere il sindaco del paese.
Entro e prendo la mia scheda, sorrido al ragazzo che me la porge che, occhiali da sole per nascondere gli occhi pesti, deve essere passato direttamente dalla discoteca al seggio.
Andata. Bene.
Ieri sera non ho guardato i risultati, preferisco un romanzo storico che mi accompagna verso il sonno. Stamani, evvai, niente levataccia: la scuola di mio figlio è chiusa per lo scrutinio. Apro i giornali on-line: ha vinto il no come ampiamente previsto dai sondaggi. Dimissioni di Renzi. Vedremo che succede.
Leggo qualche dichiarazione e ora, sì, comincio ad avvertire disagio. L’insulto vola forte da tutti gli schieramenti. Nemmeno più la parvenza del bon ton istituzionale. Il disagio cresce, chiudo tutto. Ma che succede? Da dove viene tanto livore?
Apro i social, per sbaglio. Li chiudo quasi subito. L’algoritmo di Facebook mi propone post a caso. Insulti, grida di vittoria, desideri di vendetta. Sbalordisco davanti a certe persone che conosco. Anzi, che pensavo di conoscere.
Ora il disagio è a mille. Forse è meglio staccare tutto.
Questa sensazione mi fa compagnia da troppo tempo. Un senso di estraneità, la paura di quello che sta accadendo. Respiro una rabbia montante, feroce, insensata. Non uno scambio di opinioni ma la continua voglia di scatenare una rissa. In politica, nel calcio, anche nella Chiesa, purtroppo. Rissa pura, nemici, avversari, umiliazioni, frecciate, mobbing, bullismo.
In questi giorni, per la mia formazione personale, ho finito di vedere cinque ore di documentario sulla prima guerra mondiale. La follia di una guerra costata venti milioni di vittime fra soldati e civili. Una guerra figlia di un odio che è cresciuto a piccoli passi fino ad esplodere.
Sì, ho paura.
Ho paura della rabbia che vedo, del cane accovacciato alla porta che ringhia. Ho paura di questa leggerezza scatenata, della perdita della misura, dello smarrimento della capacità del dialogo. Ho paura della polarizzazione, degli estremismi perché l’uomo porta in sé un omicida assetato di sangue. E se lo libera sono guai seri.
E vedere tanta rabbia mascherata da opinione politica mi spaventa.
Ha vinto il no, bene, i cittadini hanno espresso un parere: non condividono questo tipo di riforma costituzionale. O, più realisticamente, volevano mandare a casa Renzi per le sue scelte politiche. O, più realisticamente, per la sua arroganza. Buon lavoro a chi si troverà a sbrogliare questa matassa. Non c’è molto altro da dire.
Invece no.
Stamani pensavo che vorrei cambiare paese. In fondo ho Francia e Svizzera a trenta chilometri.
O forse Dio mi vuole proprio qui, ora, per gettare ponti.
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