Passeggio nel piccolo cimitero di montagna.
Il sole sta tramontando, illumina l’immenso bosco di castagni che sovrasta il paese. Su in alto ancora infiamma le conifere ormai arancioni che lasciano spazio alla prima neve caduta.
Alcuni paesani stanno preparando le tombe: lavano le lapidi e le foto, passano gli stracci sui marmi, posano vasi di fiori e lumini. Passeggio con calma, guardo ogni lapide, ogni nome, ogni foto. Qualcuno si chiede chi sia questo forestiero, cioè io. Qui è come se il camposanto fosse una proprietà privata. Ci si muove con cautela e rispetto.
Dalle mie parti capita che in un cimitero composto da cento, centoventi sepolture, ci sia la storia di un secolo. Riconosco i cognomi di questo villaggio, osservo le foto sbiadite, leggo qualche frase di circostanza a imperitura memoria.
Per sempre. Nei cuori. Dolore. Speranza.
Prego per tutte queste anime sconosciute.
Guardo le date: persone morte prima della mia nascita, altre prima della guerra. Persone anziane, bambini, giovani. Foto in bianco e nero, altre a colori. Storie. Vite. Emozioni. Si potrebbe scrivere un libro di sociologia del costume, guardando queste lapidi.
E poi qualche statua, angeli, madonne, cristi risorti. E lumini, tanti. E crisantemi. E vasi. E rose. E ancora marmi e graniti.
Eccola qui la storia della nostra piccola fede.
Grandi spazi recintati, sovrastati da una croce, al centro dello spazio una piccola cappella.
C’è una bella atmosfera, una grande energia, molta pace. Austerità feconda e graziosa.
Un silenzio imperante sovrasta tutto. Incuranti, alcuni corvi volteggiano e gracchiano. Percepisco la fede di chi qui è sepolto, di chi ha pianto i suoi cari, di chi ripete il gesto pieno di rispetto di venire in questa giornata di preghiera e memoria. Piccoli gesti, piccole fedi.
Non solo memoria, ma anche speranza.
La speranza che i corpi qui riposino mentre le anime camminano altrove.
Questi luoghi sono stati chiamati “Cimiteri” dai padri dei nostri padri.
Cioè “dormitori”. In attesa del risveglio finale.
Bello.
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