Sono a Faenza quindi, giustamente, don Tiziano mi porta a vedere come si fa la ceramica.
Arriviamo in un grande edificio, una ex-cartiera riattata alla bisogna. Ci accolgono due gentili signore, una sta lavorando ad una vetrata che andrà nella chiesa di Solarolo, nei pressi del battistero, un’originalissima rappresentazione della conversione e del battesimo dell’eunuco della regina Candace da parte dell’apostolo Filippo, come raccontato da Luca negli Atti.
Poi mi fanno vedere la lavorazione della ceramica: dal manufatto in argilla cotto nel forno (il “biscotto”) al bagno nella sospensione di vetro (la maiolica, inventata qui e poi esportata nel mondo), alla pittura con gli ossidi fino alla cottura. Un mondo che non conosco, guardo ammirato.
Sono sempre stupito dall’ingegno umano.
Poi arriva lui, il padre delle signore, Goffredo Gaeta, un ottantenne con uno sguardo luminoso. È lui l’artista della situazione, lui che ha sperimentato. Mi fanno vedere le lavorazioni tradizionali, i piatti che riprendono i decori dei tappeti persiani e delle ceramiche cinesi: Ravenna dista trenta chilometri e al porto arrivavano, nel Rinascimento, le merci dall’oriente, influenzando i gusti artistici (bell’esempio di integrazione!).
Poi, visto il mio interesse, mi fa vedere le sue opere d’arte.
Mi spiega che i materiali reagiscono in maniera diversa quando cuociono, sperimenta, mischia sostanze, ossidi, cambia modalità di cottura, tempi, temperatura, addirittura posizione nel forno.
Sono ammaliato…
Mi fa vedere i suoi esperimenti, dorature, colori con sfumature inimmaginabili, riflessi di luce. Mi spiega:
“Non so mai cosa esattamene succederà nel forno. A volte apro e ammiro, stupito del risultato. Altre volte riprovo, ricuocio, integro… E’ una felice alleanza con la materia, il riconoscerne la superiorità, l’ammirarne le potenzialità, piegarsi alla genialità del Creato assecondandone le dinamiche…”
Mi mostra le sue creazioni.
Una serie, più di ogni altra, suscita in me ammirazione: sono onde fatte in un unico pezzo, grandi fino a un metro, fragilissime e stupende nel loro movimento sinuoso, all’interno sono cave, eppure resistono, vetrificate. La lavorazione è estenuante, mesi di lavoro, fino ad un anno. Un’aggiunta dopo l’altra, sostegni affinché non crolli tutto, la cottura fase delicatissima e poi gli spostamenti. Un anno, per un’onda, un anno di lavoro.
Mi racconta di come, spesso, quando si apre il forno si trova l’opera spezzata, le tensioni che la mano dell’artista ha creato non reggono la cottura.
Mi racconta di come, il suo assistente, quando capita, si mette di malumore, disperato, per tanto lavoro finito male. Ma fa parte del gioco, fa parte della realtà: più si osa, più si assottiglia, più si cresce e più il rischio aumenta.
Parliamo a lungo: dopodomani terrò una conferenza a Bologna sul primo capitolo della Genesi.
Non posso guardare la sua opera creativa senza pensare, subito, all’opera di Dio.
Che ci plasma, sperimenta, osa, ci fa crescere (se lo lasciamo fare).
Decidiamo di incontrarci, più avanti, di tenere insieme una conferenza, qui, nel suo Laboratorio, in cui Scrittura e creazione si integrino, in cui il “fare” e il “riflettere” si integrino.
Tutto è luce.
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