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Settant’anni dalla fine della guerra.
Guerra che non ho mai visto ma che ha segnato la memoria della mia famiglia, come ha segnato la memoria di ogni famiglia che ha vissuto la tragedia della dittatura.
Oggi mi dedico qualche minuto a onorare la memoria.

La memoria di mio nonno Aimé, che non partì per la guerra perché figlio di nessuno. E riuscì a sopravvivere lui e i suoi figli, fra cui mio padre, nonostante le difficoltà. Mio padre che mi racconta di come, in pieno fascismo, il nonno, socialista, il giorno dell’Internazionale si mettesse un fazzoletto rosso al collo e, con un vicino di casa, andassero nella cantina del paese a festeggiare. E ricordo di quando nonno raccontava, a noi bambini, la fuga dei tedeschi che riversavano nella Dora Baltea casse di bombe a mano. Quando morì, ero adolescente, mio padre consegnò ai carabinieri una serie di armi che mio nonno aveva loro rubato e nascosto, fra cui una Luger.

La memoria narrata da mia suocera Lisetta e della trattoria delle sue zie, a Champdepraz,diventato luogo di incontro di una brigata partigiana. E di quando rischiarono tutti la pelle per un’irruzione tedesca e ancora ha viva nella memoria la paura provata, con i nazisti che sparavano col mitra verso il bosco, mentre i partigiani fuggivano.

La memoria di un vecchio del mio paese, Maurice, che racconta di quando, solennemente, il podestà annunciò in piazza a Morgex la dichiarazione di guerra alla Francia. A trenta chilometri dal confine. La Francia, dove migliaia di valdostani erano emigrati agli inizi del Novecento. E mi raccontava che, invece di esultare, la gente piangeva.

La memoria di mia nonna materna Chérie, nata e vissuta a Parigi, e della sua perplessità nel vedere l’italianizzazione forzata della Valle, con l’abolizione del francese dalle scuole, l’obbligo dell’italiano sui documenti ufficiali, la minaccia ai preti i quali, imperterriti, continuarono a predicare nella lingua dei padri. E la follia tutta nazionalista di cambiare i nomi di paese in italiano trovandosi ad abitare non più a Pollein ma a Polleno e di andare in visita non più a Saint Vincent ma a san Vincenzo Terme.

La memoria del racconto del parroco di Ollomont che, imperterrito, costruì una rete per accompagnare gli ebrei fuggiaschi in Svizzera, fra cui Luigi Einaudi. E come gli brillavano gli occhi quando ci raccontava di essere stato messo al muro per essere fucilato dai tedeschi. E diceva: “Chiusi gli occhi e dicevo, eccomi a te, mio Gesù, poi li riaprii e c’erano ancora quei brutti ceffi!”. O di don Prospero Duc, ucciso in canonica dai Repubblichini. O di don Perron, parroco di Courmayeur, appena proclamato “giusto fra le nazioni” per avere ospitato in canonica, per un anno, un adolescente ebreo spacciato per suo nipote.

La memoria del comune di Valsavarenche, di cui ho avuto l’onore di essere parroco, che il 3 settembre 1944, primo in Italia!, grazie a Federico Chabod promosse le libere elezioni comunali, svolte secondo la legge italiana antecedente al fascismo. Convenuti al capoluogo da tutti i villaggi della vallata, gli elettori maschi capi-famiglia designarono, mediante suffragio diretto, la Giunta comunale che doveva amministrare tutta la vallata occupata dalla banda “Amilcare Crétier”. Un mese dopo, a Crèton, i nazi-fascisti uccisero sei persone e bruciarono il villaggio per rappresaglia.

E’ vivo, in me, il 25 aprile. Ha il volto in bianco e nero delle foto di famiglia. Ha la tristezza epica dei racconti di chi c’era.
Onoro la memoria di chi ebbe il coraggio di ribellarsi.
Chiedo per me la stessa costanza.

310x0_1425319128779_Prosperina_Vallet(Nella foto: Una giovane donna, armata, avanza tra le montagne innevate della Valle d’Aosta. Guarda il fotografo e sorride, nonostante le tragedie che la circondano in quel tragico 1944. Per decenni questa immagine è stata un simbolo della lotta partigiana: conservata all’Imperial War Museum di Londra, era stata anche usata come copertina per libro e una mostra. Nessuno, fino al 2011, sapeva però chi fosse quella bella partigiana. È Prosperina Vallet, nata nel 1911 ad Aymavilles, non lontano da Aosta. Lo scatto la ritrae tra il 2 e il 6 novembre 1944,mentre stava cercando di raggiungere la Francia insieme ad altri partigiani. All’epoca aveva 33 anni)

3 Comments

  • francesco, 24 Aprile 2015 @ 18:41 Reply

    Si! Questa data rappresenta una Pasqua per noi tutti.
    Dobbiamo essere infinitamente grati a quanti hanno permesso (offrendo la loro vita!), oggi, di vivere nella Repubblica Italiana eretta sulla Costituzione (da ritenersi una roccia da preservare assolutamente).

  • Suor Nerina, 25 Aprile 2015 @ 01:49 Reply

    C’è voluto tanto coraggio per arrivare alla liberazione. Su Twitter, per il 25 aprile, hano creato l’hastag #ilcoraggio di e chiedono di darne una definizione. Questa è la mia, che condivido anche qui: Il coraggio è essere disposti a rischiare fino a sacrificare la vita per affermare i valori in cui si crede. In fondo,è amare! Grazie per questa testimonianza-ricordo!

  • Carolina, 29 Aprile 2015 @ 00:55 Reply

    Io faccio un lavoro che mi porta a contatto con le storie dei Giusti. Inoltre sono una milanese affezionatissima al 25 aprile. Quest’anno c’era molta gente. Il coraggio per me è sempre amare.
    Cordiali saluti,
    Carolina

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