In quel tempo, Gesù disse:
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo.
Siamo servi inutili. Dovremmo ricordarcelo quando pensiamo di essere i pilastri della parrocchia, quando pensiamo che, in fondo, siamo rimasti gli ultimi a tenere duro. Siamo servi inutili, dovremmo ricordarcelo quando il mondo, memore del passato, ci riempie di onori e di attenzioni. Siamo servi inutili, anche quando in una comunità si discute animatamente per imporre la propria visione pastorale. Siamo servi inutili significa rimettere in ordine le cose, lasciare il primo posto a Dio, lasciare che sia lui colui che dirige la nostra vita e la Chiesa. A volte, invece, emerge in noi un pensiero fintamente santo, birichino: Dio ha fatto un affare ad averci fra i suoi, modestamente. Certo, non siamo i migliori, ma quanti sono peggio di noi! Quelli che non credono, che non frequentano, che non si fanno mai vedere, che si tirano indietro… Non è così. Siamo noi ad avere avuto l’immensa gioia di poter lavorare nella vigna del Signore, noi che abbiamo scoperto di potere annunciare il Vangelo, rendere presente il Regno… Siamo servi inutili, che il Signore vuole necessari, che il Signore rende figli, che il Signore chiama a collaborare al suo straordinario sogno.