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“Hanno investito il loro futuro per comprare un appartamento, magari indebitandosi per trent’anni. E lo hanno fatto quando il lavoro c’era, ed era a tempo indeterminato. Ora lottano contro la crisi, magari uno dei due coniugi è rimasto a casa dal lavoro, in mobilità, o a stipendio ridotto. E ogni santo giorno che Dio manda in terra si fanno tre ore di viaggio per raggiungere il posto di lavoro”.

È un quartiere dormitorio di una delle tante grandi città della nostra Italia dolente. Iniziato e mai finito, con grandi caseggiati venduti come pregiati e che, a quindici anni dalla costruzione, già rivelano la pochezza dei materiali con cui sono stati tirati su. Un quartiere dove la presenza dello Stato non c’è: solo un minuscolo ufficio postale dice che qui si è a pochi chilometri dalla civiltà, e due scuole, dell’infanzia e primaria. La fermata del treno promessa sulla carta, con il parcheggio già costruito accanto ai binari, forse non si farà, forse anch’essa è stata una bufala per poter vendere e arricchire qualcuno. Per il resto pochi negozi, tante serrande abbassate, tre bar con slot machine, tristemente già in uso alle otto del mattino della domenica, due compro oro, una farmacia, un supermercato e tanta solitudine. Quella che doveva essere la piazza del quartiere è un enorme parcheggio soleggiato, deserto durante il giorno, con l’asfalto già mangiato dall’impetuosa campagna limitrofa.

Il parroco continua la sua descrizione.

“Ora vedono che tutto crolla. Si illudono di sopravvivere, combattono, affrontano una fatica che i nostri padri erano riusciti a superare. E vanno avanti uno, due, tre anni, poi esplodono. Violenza domestica, tradimenti, follie. E non vedono via d’uscita. Come i criceti che corrono dentro la ruota, una ruota sempre più veloce. Se ci si ferma si precipita. Mantenere il passo è sfiancante”.

Criceti, già.
Li vedo uscire timidamente dalle loro tane, in tuta, assonnati e storditi dalla settimana. Portano i bambini all’unica edicola per comprare le cartine dei calciatori, prendono un caffè o un cappuccino per far vedere che è un giorno di riposo.
Siamo tanti criceti, definizione terrificante e puntuale.

“Ma alcuni scoprono altro. Sempre criceti, come me e i miei collaboratori. Ma scoprono che c’è altro oltre la gabbia, che c’è un mondo dentro la ruota. Che possono correre senza maledire la vita ma cercando di scoprirvi un equilibrio, un senso, un orizzonte. Vengono qui in parrocchia a cercare aiuto economico e glielo diamo, se riusciamo. Ma, anche, a scoprire altro. Alcuni imparano a pregare, altri a leggere il vangelo. E si cercano soluzioni, vie di fuga, si cerca di cambiare questo mondo, di arrestare il declino”.

Amo questa gente. Amo questi preti che, almeno, ci provano.
Amo questo modo di essere Chiesa, di stare in trincea, quella sporca e piena di fango.
Un po’ criceti anche noi, in fondo.
Io che corro ad evangelizzare, che giro l’Italia (forse un po’ troppo, il corpo mi spiega che mi lascia andare, se insisto), anch’io un po’ criceto.
Ma che amiamo osare.
E seguire quel Rabbì che ci tormenta nell’intimo e ci spinge a non cedere.

8 Comments

  • Mattia B. "Giardiniere", 23 Marzo 2014 @ 06:43 Reply

    ….che dire… grazie!

  • carla, 23 Marzo 2014 @ 07:09 Reply

    Ciao Paolo, ritrovo perfettamente me e i miei cari nella tua descrizione. E mi chiedo: ma come ci siamo finiti in questa ruota, come criceti? Lui ci ha dato la dignità di uomini, di figli. Come e da chi ce la siamo lasciata rubare? Cosa e perché ci obbliga a diventare criceti ai lavori forzati, portati alla pazzia? Come possiamo ritrovare la nostra identità di figli e come riprenderci una vita degna della nostra natura?

  • marco, 23 Marzo 2014 @ 08:00 Reply

    Ciao Paolo
    Grazie per la visita spirituale alla nostra realtà.
    Buona domenica da un criceto pieno di speranza
    Alla prossima
    Marco

  • franca, 24 Marzo 2014 @ 19:09 Reply

    “Vivere con lentezza”……come mi piacerebbe! E quanto bene ci farebbe….ma come si fa?
    Ciao Paolo….un abbraccio grande!

  • Sarah, 24 Marzo 2014 @ 19:56 Reply

    Grazie di queste parole…. criceto anche io… che sta trovando la forza per crollare grazie a un prete come quello che hai descritto… che mi ha aiutata a dar da mangiare ai miei figli, ma soprattutto mi sta prendendo per mano, me e la mia famiglia e ci sta riconducendo al Padre….

  • alice delfino, 24 Marzo 2014 @ 19:58 Reply

    Forse è solo ritagliandosi quegli “spazi di cielo”…anche solo pochi minuti …in una chiesa prima del lavoro, …in una breve lettura della Parola almeno la sera e …,come tu hai detto,cercando il Signore nelle “pieghe della giornata”, forse solo così si resta “aggrappati” alla fonte d’acqua che disseta, alla luce che illumina e guida, al vero senso della vita!

  • federica, 24 Marzo 2014 @ 23:49 Reply

    Anch’io sfiancata, anch’io in gabbia, anch’io corro dentro la ruota senza fermarmi, non per paura di precipitare, ma con la certezza che quando scenderò, sarà la fine agli occhi del mondo, ma per me l’inizio di una vita nuova, una vita vera, quella a cui anelo notte e giorno, la Vita Eterna.
    E non è un sogno, un utopia, è ciò che sento nell’intimo, nella parte più profonda di me.

  • Francesco, 25 Marzo 2014 @ 14:12 Reply

    quanto è vera questo essere criceti! Soprattutto nelle grandi città! Aldilà dei problemi legati al lavoro e ai soldi, davvero una continua corsa dentro la ruota!

  • Dario, 27 Marzo 2014 @ 14:40 Reply

    Ciao, io la soluzione penso di averla trovata: vivere in comunità, chi più integralmente, condividendo lo stesso tetto con altri, lavorando all’interno della comunità, chi solamente in parrocchia. Ci sono rinunce da fare, materialmente, ma cosa abbiamo da perdere? Perché ci hanno insegnato che la realizzazione viene dall’essere indipendenti e noi lo abbiamo accettato. La felicità, per me, è proprio il contrario: riconoscersi dipendenti da un Altro in primis e dagli altri che mi sono accanto.

  • Mauro, 1 Aprile 2014 @ 07:30 Reply

    Rimboccarsi le maniche…. questo è l’unico modo di scendere dalla ruota…

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