…e nessuno lo sa, cantava Bennato.
Perché tutti sanno, invece, che ospita il carcere minorile di Napoli.
A questo penso mentre raggiungo don Fabio, il cappellano, prete della diocesi di Pozzuoli.
Ha voluto a tutti i costi che venissi ad incontrare i ragazzi. All’inizio pensavo scherzasse. Invece mi ha preso molto sul serio: puoi dire loro delle cose belle, mi dice.
Vero, Ma sento forte la mia incapacità.
Nessun problema, Paolo, penso fra me e me.
Stai per incontrare dei ragazzi adolescenti che sono qui come ultima spiaggia, con pene severe legate a crimini pesanti: rapina, spaccio, tentato omicidio e omicidio. Appunto.
Ci raduniamo in una delle loro classi: sono una ventina, poco più della metà degli ospiti, alcune ragazze e alcuni adulti che, solo dopo, saprò essere le guardie.
Don Fabio mi presenta come esperto di Bibbia.
Coraggio.
Tenere l’attenzione non è facile, mi aveva avvisato una loro insegnante. L’escamotage delle domande funziona, anzi ad un certo punto fatico a rispondere tante sono. Molti di loro si stanno preparando alla licenza elementare, altri a quella media. Per tutti un’infanzia segnata dal degrado, non dallo studio, Nozioni di base come la scansione del tempo nessuno gliel’ha insegnata, quand’era il momento.
Parlare di verità e di storicità è faticoso, alcuni mi seguono, altri meno. Poi chiedono degli islamici. E del peccato. E com’è scrivere libri. E Padre Pio di cui hanno visto la foto mentre Gesù chi l’ha visto? E della favola di Adamo ed Eva.
C’è scetticismo nelle loro domande. Non si fidano, mai, di nessuno.
Don Fabio questa fiducia l’ha strappata con i denti.
Ma dietro ogni sguardo, ogni frase che a volte deve essere ripetuta perché fatico a capire il loro napoletano stretto sento la struggente nostalgia. La mia, quella di tutti.
Per loro un sogno irrealizzabile.
Fuori da Nisida c’è il carcere dei grandi. O di nuovo il malaffare. Nessun orizzonte nei loro occhi, mai.
Se sono qui sanno che sono segnati.
Il clima è positivo, sono contenti. Stringo mani, auguro buona vita.
Poi, con gli insegnanti, davanti ad un caffé mi raccontano. Le veterane sono qui da trent’anni.
Una di esse mi confida:
è come essere ad un reparto oncologico. Chi ce la fa è per puro caso. Sono l’insegnante col più alto numero di studenti morti d’Italia. Morti ammazzati o suicidi.
Nelle sue parole ci sono dolore e fatalismo, ma anche dignità e forza interiore.
Da anni propone ai ragazzi un laboratorio di scrittura per insegnare loro a far uscire quello che hanno dentro. Qualche editore pubblica le loro storie, aiutati da scrittori del posto. Annoto mentalmente la cosa, cercherò di coinvolgere il mio, di editore.
Mentre continuano a spiegare sfoglio il testo dello scorso anno. L’occhio mi cade su una frase:
quando avevo sei anni e andavo a scuola le maestre e i genitori mi indicavano col dito. Chillo è camurrista. Io ero solo un bambino timido. Non sapevo di essere camorrista.
Saluto ed esco; facciamo una foto con don Fabio dal lato del mare, dove Nisida riserva le sue bellezze solo per i carcerati. I gabbiani volano fra la scogliera e la macchia mediterranea.
ps: quest’anno i ragazzi hanno pubblicato un libro solo online. Comprandolo finanzierete il prossimo laboratorio creativo. http://www.caraco.it/site/2013/03/17/la-grammatica-di-nisida/
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