Vi capita mai di fare il punto della situazione? Di offrirvi una chiave di lettura alta (altra) che vi permetta di capire cosa state vivendo? A me sì, fin troppo spesso. Sarà per il fatto che passo gran parte del mio tempo lavorativo a leggere e a scrivere, a riflettere e a interpretare, a cogliere i sommovimenti dell’anima e dell’Anima.
Oggi è uno di questi giorni, facilitato dal fatto che fuori piove (da una settimana!) e che ora Jakob è a giocare dal cugino.
Sto cercando di pianificare i prossimi mesi di lavoro, le scadenze degli articoli, dei libri, dei viaggi. Ho la fortuna di poter vivere facendo un “non-lavoro”, di evangelizzare con passione mantenuto dal mio annuncio (da chi mi legge, da chi sostiene l’associazione, da chi viene alle mie conferenze), come suggerito dal Signore.
Cosa voglio di più? In questi anni ho visto crescere vertiginosamente le persone che hanno trovato nelle cose che scrivo e che dico frammenti di verità per la loro ricerca interiore e di questo lodo continuamente il Signore.
L’elezione e i primi passi di papa Francesco, poi, mi hanno riconfermato nell’entusiasmo di appartenere ad una Chiesa, a questa Chiesa, in cui riconosco identità di vedute e di speranza.
Solo una cosa mi lascia allibito. E non riesco a capire se questa sgradevole sensazione derivi dalla maggiore consapevolezza o dal semplice invecchiamento.
Ho sempre guardato da una prospettiva quanto più evangelica possibile l’evoluzione della scena politica convinto come sono della complessità dell’essere umano ed avendo scelto, come campo principale di azione, la formazione della coscienza.
Il fatto di abitare ai confini dell’Impero mi permette anche il lusso di non schierarmi nella disputa fra fazioni, vivendo in un microcosmo (talora asfittico) che ruota intorno a dinamiche diverse da quelle nazionali.
La pesante crisi economica e politica degli ultimi anni ma, soprattutto, la profonda crisi di identità di una cultura che sta evaporando travolta dalle proprie contraddizioni mi è sempre più evidente. Come se stessimo vivendo la fine di un’epoca, il tramonto di un tempo, il crollo dell’Impero.
Non ho la competenza per capire se questa cosa sia inevitabile o da chi o da cosa dipenda. Penso che siano discorsi estremamente complessi e vorrei proporre una lettura che vada oltre l’evidenza del reale e che non cada nel complottiamo imperante.
Sono però sconfortato ed intimorito dall’enorme crescita di conflittualità che vedo nel paese e non solo in ambito politico. I social media hanno permesso a molti di poter esprimere opinioni, e ciò è un bene, ma anche di non valutare le proprie parole prima di esprimerle. Anche in ambito ecclesiale fioriscono le discussioni e le litigiosità, le contrapposizioni e le opinioni urlate.
Io stesso a volte mi trovo coinvolto in aspre contrapposizioni che mi mettono a disagio.
Vorrei davvero che almeno noi cristiani fossimo più evangelici, senza assumere lo stile urlato del mondo, senza importare nelle nostre assemblee virtuali metodi e logiche mondane.
Sì, vedo bene anch’io che tutto è difficile e che stiamo peggiorando.
Dal mio punto di vista, semplicemente, l’uomo porta in sé una radice malvagia che va convertita.
Posso suggerirlo agli altri, posso farlo su me stesso e vivere da convertito, nulla di più.
No, non penso che tutto sia finito ma penso, piuttosto, che Dio ci spinga a vivere in questo mondo con una logica evangelica e profetica, mite e conciliante, giusta ed efficace.
No, non penso che gli altri siano nemici, nemmeno gli avversari politici e penso che la democrazia sia compromesso leale.
E, sinceramente, davanti a tanta rabbia, preferisco ancora accendere un fiammifero che maledire l’oscurità.
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