La fatica è tanta, dovrei rassegnarmi al fatto che invecchio.
Poi vedendo la faccia dei “miei” pellegrini stravolti dalla stanchezza e dallo stupore e dopo la birra con Abuna Elie che mi racconta come vanno le cose da queste parti dico al Signore che va bene così.
Il televisore in camera non funziona, come il wii.fi dell’albergo, ho trovato un filo di connessione rubata da un negozio in strada quindi niente notizie e attività in web. Ottimo.
Così rifletto, metto ordine nelle idee.
Sono a Nazareth, ed è sempre bello.
Abbiamo un nuovo papa. Francesco. Ed è bellissimo.
Già solo scriverlo mi rende felice. Ho assistito come voi con stupore alla sua elezione ridendo e danzando per la fantasia dello Spirito e l’idiozia di noi uomini (anche di Chiesa).
Ho cercato di bere sue notizie in volo verso Tel Aviv e cerco di raggranellare qualche notizia qua e là. Stasera lunga chiacchierata con l’inviata francese nei territori palestinesi di Radio Vaticana e scambio di opinioni.
Ora: ci vogliono degli anni per giudicare un papato e come ho scritto e ora ribadisco non è un Papa che fa o disfa la Chiesa. Ma se rema a favore meglio. E questo sembra remare.
Ho ripassato mentalmente la ragione della mia euforia infantile. Alcune idee comuni:
un nome che è un programma. Il programma.
Frate Francesco poverello il somigliantissimo a Cristo come dicono gli ortodossi, nessun Papa aveva osato tanto. Ottocento anni perché il successore di Pietro prendesse il coraggio anche solo di assumere il nome di quel santo. Inopportuno chiamarsi Pietro, per rispetto al pescatore, impegnativo chiamarsi Francesco, un nome che fa pensare agli ulivi e al Cantico. E come suona bene: Francesco papa.
Il suo primo discorso. Da film: un omone grande e grosso, un volto sereno e pensieroso, ironico, che appare e tace lungamente. E quel suo saluto così semplice: buonasera. E le cose dette: due volte ha ricordato a tutti che è vescovo di Roma e di quella diocesi si occuperà. Perciò è il Papa, perché vescovo della città che vide morire Pietro e Paolo, non perché l’ultimo monarca assoluto. E la voglia di camminare insieme. E la preghiera fatta per Benedetto (con tanto di ave Maria sbagliata!). E il gesto della benedizione chiesta a Dio per la preghiera del popolo. Quel silenzio, quei trenta spettacolari secondi di silenzio. Quel silenzio da cui ripartire. Che azzera, che spiazza, che brucia. E il ricordo caro agli ortodossi che l’unico primato che deve avere la Chiesa di Roma è quello legato alla carità. Tre minuti che sono un miracolo.
E i gesti!, quelli piccoli ma enormi nell’ingessata liturgia della Curia. Niente mozzetta rossa con ermellino, ma dai! Niente stola portata tutto il tempo, ma solo per la benedizione. La croce, la sua, quella povera in ferro. E la benedizione in latino ma senza l’austero tono retto.
Tanto basta per suscitare a tutti il sorriso.
E, il giorno dopo, l’aneddoto: lui che alla fine della benedizione vuole cenare con i cardinali a Santa Marta ma non vuole l’auto papale e sale sul pullman con gli altri, come in gita scolastica, per dire che siamo tutti insieme. I cardinali divertiti che lo fotografano e lo postano.
Continuo a sorridere, non più la barca ma il pullman e Cristo alla guida.
Certo: ora vedremo la sostanza.
Ma nell’epoca dell’immagine in cui la Chiesa è ferita e ricordata solo per le cose negative, questa immagine ridona speranza a tutti in un crescendo di simpatia. E sappiamo bene che le grandi verità passano solo attraverso le belle persone.
Se il buongiorno si vede dal mattino sarà una splendida giornata per la Chiesa.
Forse lo Spirito ha esagerato. Vedi che significa lasciarlo fare?
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