Restano sempre spiazzati, i pellegrini, soprattutto coloro che sono qui con me per la prima volta. Spiego loro cosa stanno per vedere, li affido alla guida locale e poi me ne vado.
Qualcuno mi chiede perché io non entri nella basilica del santo Sepolcro.
Sorrido: non fatevi fregare, non c’è niente da vedere. Lui non c’è.
Non c’è perché la morte non ha potuto tenerlo fra le sue braccia.
Non c’è perché quella è solo una vecchia chiesa cadente caotica e rumorosa.
Non c’è perché il Signore è ovunque, ora che è risorto.
Ma è bene che ancora esista, quella chiesa.
Sulle colonne della basilica crociata, l’unico ingresso rimasto, centinaia di pellegrini hanno inciso sulla pietra una croce: siamo arrivati, infine.
Mesi di viaggio per vedere una tomba vuota. Da non credere.
Eppure da quella tomba è partito il contagio.
Lo tsunami, per usare una parola tanto in voga oggi.
Gesù è risorto, amici lettori.
È qui, accessibile, il per sempre presente.
La morte – ogni morte – non ha potuto tenerlo fra le sue braccia.
È risorto e presente nella sua Parola, nei segni della sua presenza che sono i sacramenti, nella comunità. È risorto e ci chiede di risorgere, ancora e ancora.
Di superare una visione crocefissa e dolente della fede, una visione mondana e parziale della Chiesa, per osare, per volare, per credere.
Il colpo d’ali che lo Spirito ha donato in questa quaresima, con l’umile passo indietro di Benedetto e la scelta inattesa di Francesco, ha ridato a tutti freschezza e fiducia. Il Cristo c’è, nonostante i nostri errori, nonostante i nostri peccati.
È risorto.
E noi con lui.
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