sapendo che la corrispondenza viene ovviamente filtrata dalla tua segreteria mi permetto di scriverti pubblicamente una lettera. Probabilmente non la leggerai ora che sei sul monte ma fa bene a me scriverla.
Volevo semplicemente ringraziarti per ciò che hai fatto in questi otto anni e, in particolare, in queste ultime settimane.
Fare il Papa non è semplice: ci si trova al centro del mondo, sempre sotto i riflettori, con un miliardo di cattolici abbastanza convinti di saper fare il Papa meglio dell’attuale e un centinaio di opinionisti atei assolutamente certi di ciò.
Essere successori di Giovanni Paolo non dev’essere stato molto semplice: un papato lunghissimo il suo, forte, mediatico, in quanto credente che ha attraversato il nazismo e il comunismo ha saputo imprimere una forte spinta al cristianesimo. Tu, docente universitario timido e dai modi garbati, a disagio davanti alla folla non sei vissuto alla sua ombra ma all’ombra dei vangelo.
Ti è scoppiata in mano una situazione drammatica, quella dello scandalo della pedofilia e delle persecuzioni crescenti nei confronti dei cristiani, ed hai saputo gestirla con decisione e fermezza, lasciandoti condurre dallo Spirito e dalla tua cristallina intelligenza apprezzata più dagli intellettuali atei che dal popolo cristiano sempre più attratto da una fede emotiva e semplicistica.
Ci hai detto continuamente di ripartire dalla ragionevolezza della fede, hai continuamente ribadito la centralità di Cristo, hai cercato i lontani (questo il senso della ricerca di accordo con i transfughi levèfriani). Rispetto agli scandali hai espresso una fermezza e una trasparenza spesso dimenticate dalle usurate logiche del passato in cui si spostavano i problemi senza affrontarli di petto. Lo hai fatto per amore alla verità ma, così facendo, hai dato della Chiesa una nuova visione; il mondo, oggi, è una casa trasparente e il cristiano deve saperlo.
Hai ricordato a tutti che la preghiera è una cosa seria e la messa un incontro reale non un palcoscenico e la liturgia uno spartito da ben interpretare, come fanno i direttori d’orchestra, restando fedeli al compositore, la comunità cristiana che da duemila anni prega con quella parole.
Nelle ultime settimane, poi, hai lasciato tutti di stucco: la tua decisione di lasciare ad altri le chiavi hanno avuto conseguenze impreviste sulla nostra (poca) fede. Lo hai ribadito più volte e ti credo, sinceramente: il tuo è stato il gesto del grande teologo e dell’uomo di fede che sa di non essere fisicamente e spiritualmente in grado di continuare.
All’inizio molti credenti sono rimasti spiazzati: non siamo abituati a qualcuno che consideri la sua funzione più importante della propria realizzazione. “La Chiesa è di Cristo, perché temere?” ci hai ricordato.
I più spiazzati sono rimasti i tanti amici non credenti: mancava loro una categoria per capire il tuo gesto. E allora vai con la dietrologia, con i complotti, con le teorie più astruse. Intendiamoci: sai bene, e lo hai detto, di quanto carrierismo e marciume ci sia nella Chiesa, anche intorno a te. Hai ammonito, invitato, esortato. Poi hai fatto tu il gesto che altri non sanno fare. Sapendo, come scrive il tuo amato Ambrogio, che la Chiesa è per sempre “casta meretrix”, prostituta vergine.
Perciò sempre da convertire.
Qualcuno ha scritto, e concordo, che questo gesto compie il Concilio Vaticano che hai sempre difeso.
Il Concilio che hai vissuto, autentico, non quello dei media o dei tradizionalisti.
Il Concilio che voleva ridire Cristo all’uomo moderno.
Sentivo ieri un tenero giornalista che diceva “questo gesto ce lo rende più umano, ma toglie la sacralità del ruolo”. Sarebbe bello che i giornalisti, almeno i vaticanisti, fossero tendenzialmente credenti. Saprebbero, allora, che non c’è nessuna sacralità nella Chiesa ma è la santità di Dio che si riverbera nei diversi carismi. E Benedetto è il primo fra i fratelli, colui che deve custodire la fede degli apostoli e che, con tutti, proclama il Santo.
Grazie, allora.
Oggi, meditando sul tuo gesto in questa mia quaresima irripetibile, ho pensato agli strani scherzi dello Spirito. Ho avuto la fortuna di conoscerti e di cenare con te e rimasi molto colpito dall’affabilità di un Papa che chiedeva ad un pretino trentenne informazioni sulla parrocchia. Perché ti stava davvero a cuore. E si vedeva.
Sei un grande dono di Dio. Com ognuno di noi lo è.
Buon Tabor, ora.
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