Il più grande uomo mai esistito, lo definisce Gesù (Lc 7,28).
E così doveva apparire Giovanni il battezzatore alle folle che scendevano da Gerusalemme per ascoltarlo.
Un uomo consumato dalla penitenza, un asceta coerente ed intransigente, un profeta pieno di fascino, simile ai (pochi) uomini spirituali che ancora troviamo in giro per il mondo. Un uomo dedito alla preghiera e alla meditazione, ascoltato per la sua riconosciuta autorevolezza. Un uomo che fuggiva gli onori riservati (da sempre!) agli uomini di religione, che abitava nel deserto, presumibilmente in polemica con la rinata classe sacerdotale che a Gerusalemme ostentava potere e ricchezza.
In molti lo raggiungono, nei pressi del Giordano, per ascoltare la sua parola urticante.
Non ha peli sulla lingua il Battista, non deve compiacere nessuno, invita tutti alla conversione: persone comuni, ma anche soldati del tempio, pubblicani, farisei, sadducei.
La sua parola è sferzante e vera, carica dell’impetuosità dei santi.
Molti, ancora oggi, cercano persone capaci di indicare una strada, di condurre gli uomini alla verità.
Nonostante millenni di storia e di civiltà, portiamo in noi stessi la fragile consapevolezza di non avere le risposte alle tante domande che la vita ci pone. E speriamo che altri le abbiano, ci sappiano indicare, ci orientino.
Ci sono ancora uomini di Dio, nel mondo.
E altri uomini e donne che cercano le rive del Giordano per ascoltare una parola autorevole, fosse anche difficile da accogliere.
Abituati ad usare parole inutili, riempiti di discorsi vuoti, ci mancano come l’aria parole capaci di costruire, capaci di orientare, mettendo in luce gli errori che commettiamo.
La parola del Battista non minimizza né blandisce, non banalizza né giustifica, come spesso le parole che ci raggiungono dai media.
Ma neppure accusa e scoraggia, né giudica senza appello e senza misericordia.
È una parola autentica, vera.
Per trovare il senso, per incontrare Dio, bisogna volerlo davvero, mettersi in gioco, compiere gesti di conversione: gli esattori sono invitati a non rubare, i soldati a non abusare della loro posizione, i farisei a non scivolare nell’ipocrisia.
Di quante parole vere ha bisogno il nostro mondo!
Scomode, inquietanti forse, ma vere.
Temo le parole che mi criticano impietosamente.
Ma non so che farmene di parole che mi applaudono e mi seducono.
Ho bisogno di parole che mi spingano ad uscire.
Che rompono il mare di ghiaccio che è dentro di me, scriverebbe Kafka.
Giovanni non si prende per Dio, non approfitta della sua notorietà. Potrebbe, tutti pensano che sia il Messia. Basterebbe un suo cenno per avere le folle adoranti ai suoi piedi. Ma non lo fa. Non vuole.
E agli inviati da Gerusalemme che gli chiedono conto della sua identità e della sua autorità (c’è sempre qualcuno, anche nella Chiesa, che ha bisogno di rilasciare patenti!) risponde di essere voce (Gv 1,19.23).
Voce.
Solo una voce.
L’ultimo profeta di Israele, colui che ha meritato da Gesù il titolo di “grande”, che ha consumato la sua vita nel digiuno e nella penitenza, dice di se stesso di essere voce.
Una voce prestata alla Parola.
Anch’io, prima di morire, vorrei capire chi sono.
Chi sono veramente.
Ciò che sono non corrisponde a ciò che faccio o che realizzo, ma a ciò che serve alla crescita del mondo. Il senso della vita, allora, diventa scoperta per ciascuno delle proprie capacità, del proprio carisma, e di come ciò che è può essere messo a servizio di un grande progetto di salvezza.
Ciò che sono lo scopro specchiandomi nello sguardo di Dio, cercando l’altrove.
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